Dalla genesi del suo primo album solista alle anticipazioni sul nuovo disco dei Marlene Kuntz, in uscita il prossimo 30 settembre. Dalle considerazioni sulla scrittura e la musica a quelle sul cambiamento climatico. Il cantautore Cristiano Godano, leader di una delle band che hanno segnato la storia del rock italiano, si è raccontato in un lungo talk di fronte al pubblico del festival Oltremente di Ragusa Ibla che lo ospiterà ancora stasera (9 settembre, presso il cortile della facoltà di Lingue) per un live acustico, durante il quale riproporrà alcuni suoi successi in arrangiamento per chitarra e voce.

Il concerto che terrai qui a Ragusa ti vedrà esibire in una veste molto intima: chitarra e voce. Di cosa si tratta? E come è nato questo progetto?
«Circa una decina di anni fa ho cominciato ad accettare l’ipotesi di trovarmi a fare delle cose da solo, anziché coi Marlene Kuntz. Intuivo che c’erano le opportunità per farlo e che era necessario ampliare le mie possibilità espressive, anche da un punto di vista banalmente lavorativo. Fare il musicista rock con una band in Italia, dove i locali e i festival sono sempre gli stessi non è facile e sperare di lavorare ogni anno per un certo numero di date non è una cosa scontata. Così iniziai a proporre dal vivo, all’interno di un format-talk che prevedeva anche un dialogo con un giornalista delle esibizioni in acustico, all’interno delle quali proponevo i brani dei Marlene Kuntz che avevano la possibilità di essere “addomesticati” in una versione più intima e per certi versi vulnerabile. La formula ha funzionato, ma chiaramente dopo alcuni anni, sebbene gli altri membri della band non avessero nulla da ridire su questo, maturai l’idea che avrei dovuto allargare il mio repertorio oltre quello dei Marlene Kuntz».

Il talk con il pubblico dell’Oltremente Festival

Quindi è nato così il tuo primo album da solista, “Mi sono perso il cuore”?
«Diciamo che quel disco è il frutto di un songwriting casalingo durato circa tre anni. Ogni volta che mi veniva un’idea mentre imbracciavo la chitarra acustica la fissavo in un video, in modo da poter ricordare anche le diteggiature sulla tastiera. Alla fine mi sono ritrovato con decine di idee e ne discussi con Gianni Maroccolo, che oltre a essere il bassista storico dei Litfiba e membro dei CSI, è anche un produttore e un amico da una ventina d’anni. Ci abbiamo lavorato insieme e il disco è uscito nel 2020. Si tratta di un lavoro piuttosto intimo, che sostanzialmente è il riflesso di cosa fa Cristiano Godano quando suona a casa. Il titolo “Mi ero perso il cuore” deriva dalla consapevolezza del periodo che stavo attraversando, in cui la mia mente si stava caricando con i suoi labirinti e le sue ossessioni».

Sebbene il disco sia stato concepito prima della pandemia, la sua pubblicazione è avvenuta nel 2020 e all’ascolto in molti hanno notato una similitudine tra le atmosfere del disco e i sentimenti che tutti ci saremmo trovati a vivere durante il lockdown. Tu che ne pensi?
«Chiaramente, al di là del fatto che più di una persona mi abbia fatto notare questo, io non ho nessuna capacità di immaginare quello che sta per accadere nel futuro. A volte ho fatto una battuta dicendo che, forse, sono i tempi che incidentalmente si sono adeguati al mio modo di essere, ai miei testi poco “scanzonati”. Diciamo che, in generale ho l’attitudine poetica a scandagliare nell’animo umano e per me è stimolante farlo».

Rispetto a questa dimensione molto personale, il nuovo disco dei Marlene Kuntz, “Karma Clima”, in uscita il 30 settembre, sembrerebbe contrapporsi affrontando un tema collettivo. Di cosa si tratta?
«Abbiamo fatto un disco che nasce da una paura che non è nata l’altro ieri, ma che già da un po’ di anni si è fatta sempre più pressante: quella del riscaldamento globale. Da parte mia sono molto impaurito da ciò che sta accadendo e mi indigna l’inazione di fronte a tutto questo. Comprendo la difficoltà di tutti i governi a portarci verso azioni concrete e significative, ma al contempo non trovo nessun motivo sufficientemente intelligente per credere al 2% della comunità scientifica che sostiene che il problema non esista. Il disco quindi vuole raccontare tutto questo, sebbene lo faccia sempre da un punto di vista dell’atto poetico. Non c’è una sola canzone che punti il dito e cerchi di far venire i sensi di colpa alla gente».

Questo disco è anche il frutto di alcune residenze artistiche. Puoi dirci di più?
«Karma Clima è il racconto della natura dal nostro punto di vista. Ad esempio avuto modo di frequentare due paesini in provincia di Cuneo che sono stati riqualificati secondo criteri di sostenibilità. È stato molto bello e, anche se allora avevo ancora da scrivere l’80% dei brani, la comunione quotidiana privilegiata con la montagna è stata molto proficua. Ho scritto alcuni testi in alture, lontano dalle contingenze, dal mondo e godendo di una sensazione che probabilmente per chi crede coincide con la presenza di Dio. Io non ho fede, ma sentivo un’occasione di trasfigurazione, di un fermento interiore straordinario».

Poc’anzi hai parlato dell’inattività di alcuni governi rispetto all’emergenza climatica. Di fronte a questo, tuttavia, un po’ a tutte le latitudini, coloro che si interessano maggiormente al tema sono le generazioni più giovani. Cosa pensi di Greta Thunberg?  
«Credo che sia nel giusto. Coloro che la prendono in giro, evidentemente, guardano il dito e non la luna. Un po’ come avviene nel film “Don’t Look Up”, che a me è piaciuto moltissimo. A volte ci si concentra proprio sulle cose sbagliate. In generale, mi sembra abbastanza naturale avere fiducia nei giovani, perché sono quelli che hanno maggiore consapevolezza. D’altronde come potrebbero non averla dal momento che sono le persone direttamente e maggiormente coinvolte da questo problema? Il punto è che processi come la desertificazione di alcune aree – Sicilia compresa – non sono ancora irreversibili, ma se non facciamo nulla si verificheranno tra pochi anni, non tra decine o centinaia. Rispetto a tutto questo è evidente che noi come artisti non abbiamo nessuna possibilità di incidere sul comportamento collettivo, però possiamo decidere, oltre a creare mondi personali, come ho fatto la maggior parte delle volte, di provare a suscitare delle riflessioni. Se anche solo riuscissimo a togliere dalla testa della gente un po’ di fesserie sarebbe già una cosa molto importante».

La tua carriera da musicista è lunga oltre trent’anni. Cosa è cambiato in Cristiano Godano in tutto questo tempo?
«Credo di essere semplicemente diventato più consapevole come musicista e di essere anche migliorato tecnicamente, sebbene io non sia un virtuoso dello strumento. Avere maggiore consapevolezza, inevitabilmente significa avere più frecce nella tua faretra. Sia da solo sia con i Marlene Kuntz ho sempre cercato di fare musica che non si ripetesse mai. Questo con buona pace di chi si ostina a dire ancora che i veri Marlene Kuntz sono solo quelli dei primi tre album. Alla fine sono tutte stronzate».

Che musica ascolta Cristiano Godano oggi? E chi sono i tuoi riferimenti?
«Diciamo che i miei miti sono rimasti sempre gli stessi: Neil Young, Nick Cave e i Sonic Youth. Sebbene quest’ultimi non abbiano da soli la forza di quando erano insieme e Neil Young a volte produca dei dischi scalcagnati, ma rimane a suo modo adorabile. Nick Cave, invece, ha una produzione incredibile. Un aneddoto che lo riguarda è relativo a dei miei testi in inglese, lui li revisionò per me e fu un onore incredibile. Al di là di questo, però, sono convinto di non poter rendere cantando in una lingua che non sia la mia».

Ascolti anche della musica di artisti nuovi? Cosa pensi del contesto in cui la musica si trova oggi?
«Diciamo che cerco di tenermi aggiornato, anche perché sono una persona estremamente curiosa e quindi cerco di capire cosa accade nella musica. Il problema è che più vado avanti e meno quello che scopro mi piace. La musica è stata massacrata da Internet. La smaterializzazione che l’ha interessata le ha fatto perdere valore e questo è gravissimo. Se un lavoro è gratis e a portata di clic è difficilissimo anche per i musicisti andare avanti e crederci, sebbene c’è chi eroicamente lo stia continuando a fare. Mio figlio ha 24 anni e gradirebbe fare il rapper. L’altro giorno gli ho chiesto se fosse ancora convinto. Mi ha risposto che gli dà noia spendere 800 euro per 20.000 like. Di cosa stiamo parlando? È questo il contesto che viviamo oggi».

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