«Messina era lu pottu di li naviganti, puttavunu li merci pi li cummercianti ma oramai non c’è cchiu nenti, sulu un mari e li turrenti». Sin dal XVI secolo la città sullo Stretto aveva avviato un’intensa attività di scambi commerciali con l’Inghilterra che qui si riforniva di seta grezza, agrumi e sale; attirando sull’isola, vista la posizione strategica, anche numerosi cittadini britannici. Ma come scrive Tony Canto in “1908”, il catastrofico terremoto che quell’anno rase al suolo la città facendo oltre 80.000 morti, ebbe notevoli ripercussioni sul tessuto sociale ed economico del centro. “Cruel Peter”, scritto da Christian Bisceglia che lo codirige insieme ad Ascanio Malgarini, muove proprio da quell’infausto evento per dare vita a un angosciante slasher tutto italiano dove realtà e soprannaturale si mescolano e che è ora disponibile sulla piattaforma RaiPlay. Un espediente già utilizzato da Bisceglia nel 2012 per “Fairytale”, ambientato nell’Agro Pontino durante il regime fascista. Nelle sue storie del terrore, passato e presente sono legati a filo doppio, così come in questa pellicola dove le esistenze di Peter Hoffmann (Aran Bevan) e Liz Nash (Zoe Nochi) s’intrecciano. Entrambi inglesi: uno è il dodicenne rampollo di una ricca famiglia che da tempo vive a Messina, temuto e odiato per la cattiveria con cui sevizia gli animali del circondario e disperso durante il sisma; l’altra è un’adolescente dei giorni nostri, sordomuta, figlia dello stimato archeologo Norman Nash (Henry Douthwaite), venuto in Sicilia per restaurare alcune sculture nel Cimitero Monumentale messinese.

SICILIAN HORROR STORY. I maggiori esponenti del cinema gotico in Italia sono da sempre Mario Bava e Dario Argento, ma anche Pupi Avati che negli anni Settanta esordì nelle sale proprio con questo genere, al quale è ritornato nel recente “Il signor Diavolo” del 2019. Gli anni Duemila hanno comunque segnato, nonostante alcune eccezioni come Del Toro o M. Night Shyamalan, un momento di ristagno per gli horror movie, che al netto dell’uso abbondante di effetti speciali puntano per lo più su remake di cult, pur con grande successo di pubblico. Bisceglia, milanese di nascita e messinese di adozione, nella sua pellicola ha saputo mescere tutti gli ingredienti giusti: possessioni, presenze inquietanti, sedute spiritiche, rasoi affilati e leggende popolari per dare vita a un prodotto di pregio e fuori dai soliti schemi. Si fa un uso sottile delle paure inconscie dell’essere umano che diventano quasi reali e di segni archetipici dell’occulto come lo specchio e la sfera di quarzo. Il plot è forte come anche l’estetica, che restituisce un’atmosfera da favola gotica ma anche postmoderna. Il contributo maggiore lo si deve all’ottimo direttore della fotografia, Duccio Cimatti, che ricrea ambientazioni fredde e tetre, agli effetti visivi impiegati senza eccessi da Makinarium che ricostruisce in 3D la devastazione post-sismica del capoluogo siciliano e all’artigianato di qualità di Leonardo Cruciano e Nicola Sganga.

INSULARITÀ. Il cast vanta interpreti internazionali e talenti tutti nostrani come la straordinaria Aurora Quattrocchi, che veste i panni di zia Emma, depositaria del folclore tradizionale in cui sacro e profano si mescolano, e la giovane Katia Greco, volto di molte fiction Rai che qui interpreta Bianca, assistente e amica del professore Nash. I personaggi sono messi ben a fuoco come anche le dinamiche dei rapporti. Norman e Liz vivono un dolore comune che elaborano in maniera diversa, l’uomo trincerandosi dietro un grave senso di colpa che lo costringerà alla solitudine mentre la figlia non riesce ad accettare la realtà in cui si trova, rifugiandosi in un modo parallelo fatto principalmente di ombre. Sebbene la ricerca di Liz miri a ristabilire un contatto con la mamma defuta, anche alla luce anche del distacco emotivo del padre, suo malgrado aprirà la porta a spiriti oscuri. In questo rapporto traballante la presenza di Bianca costituirà, nomen omen, una guida per l’uomo e un sostegno per la giovane, rivelandosi indispensabile allo scioglimento della tensione conclusiva anche se il coup de thèâtre è sempre in agguato. Nel film c’è anche un piccolo cammeo del musicista Tony Canto che con la sua “1908” ha contribuito a lasciare un’impronta tutta isolana all’opera cinematografia che non è esente da qualche battuta in vernacolo. Infine, la colonna sonora affidata a Luca Balboni crea un collante emotivo con il testo filmico rimandando a una dimensione molto intima, quasi mistica, ed enfatizzata dal refrain di una nenia infantile che sfocia in un raccapricciante tormentone.

BELLEZZE NOSTRANE. Lo sguardo poetico della macchina da presa restituisce tutto il fascino della Messina liberty, da villa Roberto a Ganzirri con i suoi preziosi soffitti a cassettone in legno e l’imponente scalone, oltre al “Gran Camposanto” progettato da Leone Savoia dove sono ospitate anche sculture e cappelle in stile neogotico e neoclassico, riprese poi nel Cimitero Monumentale di Milazzo che risentì molto dell’influenza dell’architetto messinese. Ai paesaggi mozzafiato che si scorgono dal Sacrario di Cristo Re, affacciato sul porto, si alternano le panoramiche dall’alto e i campi lunghi dei colli San Rizzo. Fra le location, la presenza di Villa Paradiso Bonaccorsi a Milazzo e Villa Barone Montesano a Chiaramonte Gulfi fa riflettere su quanto abbia ancora da offrire la Sicilia sul fronte della settima arte. La pellicola è già stata presentata in oltre 60 Paesi e aldilà dell’ottimo colpo per la cinematografia italiana sarà anche l’occasione per mostrare a una platea internazionale i numerosi tesori che la nostra terra offre.

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