«Molti hanno votato per il “Leave” per frenare l’immigrazione, ma adesso che usciremo tutto il Paese risentirà dell’assenza di personale». Tra rimorsi e amare prese di coscienza, tra manifestazioni che chiedono un nuovo referendum e la posizione di molti lavoratori da ridefinire, il clima di questi giorni in Regno Unito porta a chiedersi: che ne è stato delle bandiere che sventolavano per la ribellione?

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]N[/dropcap]on so perché ho votato Brexit, sono stata illusa da finte promesse. Se potessi tornare indietro, voterei per il “remain”. I prezzi del cibo come anche la benzina stanno aumentando». Pauline ha ottantatre anni e vive a Driffield, un paese incontaminato del nord dell’Inghilterra, dove a fine estate si raccolgono i lamponi; si accende la stufa e si sta a casa a contemplare dalla finestra il tempo che non passa. A Driffield ci sono pochi giovani. Qualche pub, supermercati e tantissimi negozi di charity, dove a pezzi stracciati puoi rifarti l’abbigliamento o l’arredamento di casa. Sull’autobus che ti porterà nella vicina Sewerby, località estiva più vicina, sei l’unico a timbrare il biglietto. Gli altri passeggeri hanno più di 60 anni e non devono pagare. Gli anziani rappresentano la maggioranza di chi ha votato ‘Leave’, un voto di ribellione per ritornare ad un passato glorioso. Per gli abitanti di Driffield o di qualsiasi altro paesino inglese il tempo si è fermato. Le lampadine a risparmio energetico, previste dalla normativa europea, sono un’offesa. “Dipendiamo troppo da Bruxelles”.

«Con la Brexit risentiremo dell’assenza di personale. Per prendere appuntamento con il mio medico di base occorrono tre settimane»

«Molti hanno votato Brexit per porre un freno all’alto tasso di immigrazione. Adesso che usciremo, però, tutto il Paese risentirà dell’assenza di personale. Un esempio? Per prendere appuntamento con il mio medico di base occorrono tre settimane. Alla fine dei conti, chi ha votato Brexit, non sa esattamente cosa ha votato». Di quegli slogan che hanno acceso l’orgoglio di tanti inglesi come ‘let’s take back control’ o ‘take back our waters’ rimarranno sogni infranti, perché Brexit non metterà fine ad accordi decennali come quello che consente agli spagnoli di pescare in acque britanniche. Le lancette non si possono portare indietro, nonostante qualche mese fa a Trafalgar Square circa 700 mila persone con una manifestazione pacifica hanno cercato di far sentire la propria voce, chiedendo al governo May un nuovo referendum. Di quel giorno rimane il ricordo di bandiere europee sventolanti e di cartelloni con scritto “Lets’s remain in the 21st century”.

«Ci aspettano giorni difficili, ma l’accordo su cui stiamo lavorando mantiene fede al referendum votato a giugno 2016» ha detto Theresa May, che durante la turbolenta riunione alla Camera dei Comuni che ha visto alcuni importanti ministri dare le dimissioni, è riuscita a strappare un sì all’accordo presentato sul difficile divorzio dalla Ue. La vera partita, però, si giocherà in queste settimane quando May dovrà ottenere l’approvazione del Parlamento britannico. Intanto, il Paese è più diviso che mai. Quasi come 500 anni fa quando Enrico VIII protestò contro la chiesa cattolica. “Questo accordo non esprime la volontà del popolo” commentano gli oppositori. A Downing Street, Theresa May è sola. Ne fa eco uno dei tanti giornali che a seguito della presentazione della bozza di divorzio, titola: “Will the last person to leave the Cabinet please turn out the lights?”.

L’unica cosa certa sulla Brexit per gli stranieri è che dal 30 marzo chi vive in Inghilterra dovrà regolamentare la propria posizione

Intanto c’è chi si prepara al peggio. Come una famiglia inglese che preoccupata per il no deal, mette da parte cibo extra. “We buy beans for now and for later, rice for now and rice for later”. E chi, tra cui molti italiani, invece, continua a scegliere il Regno Unito, soprattutto città come Londra, come meta lavorativa. Di Brexit, l’unica cosa al momento certa è che dal 30 marzo, chi vive (o sceglie di vivere) in Inghilterra dovrà regolamentare la propria posizione. Si dovrà compilare un modulo online per poter ottenere la residenza permanente, dimostrando di aver vissuto e lavorato in Uk per almeno cinque anni (sei mesi continuativi all’anno) o di ottenerla entro il 2021 per chi, invece, mette piede in terra extracomunitaria durante l’attuazione della Brexit e non oltre il 31 dicembre 2020.

Alla Brexit seguirà Brexodus: ovvero la fuga di professionisti ma anche di aziende e compagnie. Cosa rimarrà delle bandiere inglesi sventolanti?

Ma chi vorrà continuare a vivere in Uk? Per molti giovani, il Regno Unito rappresenta la meta più facile per cambiare vita. «Ho scelto di vivere a Londra perché a Napoli non c’è lavoro», commenta Valerio. «È stato un percorso molto semplice: un biglietto di sola andata da 100 euro e via. Appena arrivato, ho trovato lavoro e poi casa. Dopo Brexit non sarà così semplice: bisognerà avere delle qualifiche o optare per altri Paesi». Intanto, alla Brexit fanno eco i giornali, poi seguirà Brexodus: ovvero la fuga di professionisti ma anche di aziende e compagnie. Cosa rimarrà delle bandiere inglesi sventolanti? Ai posteri, non troppo posteri, l’ardua sentenza.

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