Da Sciascia ai casi di Montalbano: perché il giallo è di casa in Sicilia?

La nostra isola ha da sempre la stupefacente capacità di trasformarsi dando l’impressione di essere immobile, di celarsi ad occhi indiscreti per poi rivelarsi improvvisamente. Per questo è il luogo d’eccellenza per il poliziesco: perché insegna che la verità si mostra con diverse facce

A più riprese, riferendosi alla Sicilia, è stato detto che la sua particolare condizione, il suo accogliere con naturalezza il tema del mistero, si presta particolarmente all’ambientazione dei cosiddetti “gialli”. Anzi, a dirla tutta, sembra proprio che il giallo ideale, con la sua inconfondibile tensione narrativa e il suo gioco di illusioni tra mascheramento e rivelazione, possa avere luogo soltanto nella nostra isola. A pensarci bene, in fondo, cos’è che caratterizza un’indagine da giallo? La sua mutevolezza, il suo continuo andare in cerca di appigli sicuri, il desiderio acuto di giungere ad un compimento. Ma, soprattutto, l’aspetto prismatico del concetto di verità, sempre al confine tra sconvolgimento e rassicurazione. In Sicilia ognuno di questi elementi trova la sua più matura realizzazione per il semplice fatto che non sempre è il risultato, lo scioglimento del dubbio, a risultare in primo piano, bensì la ricerca in sé, il dannarsi l’anima nell’impegno della comprensione e dell’opposizione al chiaroscuro della ragione. Sciascia e Camilleri, maestri del genere, hanno sfruttato appieno questa peculiare inclinazione siciliana.

Fu proprio Sciascia a ritenere la Sicilia il luogo d’elezione per gli avvenimenti a sfondo giallistico. Lo scrittore di Regalbuto più volte si scontrò con l’impossibilità di raggiungere verità definitive: troppo diffuso quel pusillanime senso di omertà, troppo ingarbugliato il sottosuolo criminale per poter sperare di illuminare la realtà. Per questo si affidò alla letteratura come dispositivo di scardinamento delle certezze costituite, del pregiudizio, della menzogna. E così ha fatto a lungo Camilleri col suo Montalbano, aggiungendo, spesso e volentieri, una nota malinconica, una sfumatura decadente, un colore compassionevole. Che il giallo sia sciasciano, inteso nella densità della sua cupezza, nell’insolubilità della sua perversione o nell’insondabilità delle sue ragioni (vedi il caso Majorana), oppure camilleriano, inteso come insostituibile umanità che talvolta accomuna il Commissario, le vittime o i carnefici, questo genere letterario rappresenta pienamente l’essenza della sicilianità, il suo continuo contraddirsi fino alla vetta dell’armonia. Perché la Sicilia, nel mistero, ama specchiarsi, ama camuffarsi per far credere di essere ciò che non è, per poi palesarsi in tutta la sua prorompenza. C’è sempre una ragione, un risvolto nascosto che guida le azioni degli isolani, una cappa di incertezza che li affligge ma al contempo li stimola a progredire, quella stessa incertezza che non fa sprofondare la nostra terra nella staticità, ma la mantiene viva, curiosa, ingegnosa.

Per questa ragione il giallo ha la sua casa in Sicilia. Perché solo qui si comprende nella sua pienezza quanto insidioso sia credere o cercare di ottenere una verità inconfutabile, priva di ogni crepa, che sia bianca o nera. Quella verità incrollabile non appartiene alle opere di Sciascia, perché fin troppo avvolta nella nebbia del dubbio; non appartiene ai romanzi di Camilleri, dove spesso persino l’artefice del misfatto merita comprensione, dimostrandosi fragile e umano nella sua insanabile tendenza a sbagliare. Il giallo insegna che più verità possono coesistere senza entrare in conflitto, che già il nostro tendere verso di essa ci rende più fautori della nostra stessa libertà.  La Sicilia è la terra del giallo semplicemente perché nessun altro luogo possiede la capacità di trasformarsi senza darlo a vedere, di dare la sensazione di immobilismo mentre sotterraneo scorre il fiume del cambiamento. Sono incroci di parvenze e concretezze, di immagini e di parole, di ferite velenose e di idee dal contorno sfocato. Anche quando il caso sembra risolto, quella fine non è altro che l’inizio di una nuova inchiesta, di una nuova messa in discussione dell’esistente. È la condizione di sopravvivenza del giallo: il suo essere instancabilmente foriero di novità, positive o negative. L’importante è avere sempre un mistero dinanzi agli occhi. Forse perché solo così, solo inseguendo i fantasmi che appaiono all’esterno, c’è qualche speranza di diradare le nubi del primo, grande, insoluto mistero: l’anima siciliana.

 

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Giornalista, laureato in Lettere all'Università di Catania. Al Sicilian Post cura la rubrica domenicale "Sicilitudine", che affronta con prospettive inedite e laterali la letteratura siciliana. Fin da giovanissimo ha pubblicato sulle pagine di Cultura del quotidiano "La Sicilia" di Catania.

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