L’antenata italiana dell’automobile nasce in Sicilia: Giovanni Petronio Russo, genio dimenticato
Quando si parla di siciliani, un dato, tra il serio ed il faceto, sembra essere assodato: li si può trovare dovunque. Sia che ci si muova nello spazio – nazionale o intercontinentale – sia che lo si faccia nel tempo, le probabilità di imbattersi in un abitante dell’isola capace di contraddistinguersi per qualche specifica qualità sono piuttosto alte. Così come alte sono le probabilità che un siciliano abbia messo il suo zampino in qualche tappa decisiva o curiosa della storia. In principio furono il papà del gelato e la prima poetessa in volgare, ma la lista è tutt’altro che conclusa. Ne fa parte anche un bizzarro personaggio, vero e proprio enfant prodige originario di Adrano, appassionato di matematica, fisica e meccanica e acuto osservatore di ogni dettaglio della realtà che lo circondava. Per fare la sua conoscenza dobbiamo tornare indietro alla seconda metà del XIX secolo: il suo nome è Giovanni Petronio Russo e dal suo studio nacque l’antenata dell’odierna automobile. Non si usufruiva ancora della benzina, certo – bensì del vapore – e la velocità massima raggiungibile pare si aggirasse intorno ai 15 km/h, ma alcune delle sue funzioni potrebbero davvero sorprendervi.
Il prototipo, significativamente, si chiamava Trinacria. Sebbene nei paesi europei più avanzati ne esistessero già degli esemplari simili, in Italia tale tecnologia faticava ad affermarsi e soltanto pochi esemplari uscivano dalle officine nostrane, oltretutto, spesso, attrezzati solamente per viaggiare su rotaie. Russo, che si era impegnato ad implementare nella sua creatura sistemi d’avanguardia per facilitare il raggio curva, per superare pendenze anche piuttosto aspre e perfino un quadrante con lancette lontano parente dell’attuale cruscotto, dal canto suo era riuscito non solo a progettare un veicolo (seppure ancora a 3 ruote) che solcasse le strade ordinarie (il cui numero andrà a crescere dopo l’Unità del 1861) ma anche ad assicurarsi che quest’ultimo non lasciasse solchi durante il suo passaggio e che non disperdesse affatto vapore, capace com’era di bruciare tutto il carbone al suo interno. Un’intuizione così felice non poteva non attrarre l’attenzione in giro per il Vecchio Continente e ottenere il brevetto fu abbastanza semplice. Realizzarne esemplari in serie, però, fu tutt’altro che immediato: prima un ingegnere inglese lo truffò fuggendo con la somma di denaro necessaria a dare il via alla produzione; poi, sorretto economicamente dai genitori, non fu appoggiato dai signori facoltosi della Penisola. Nonostante la sfilata del modello che Giovanni aveva utilizzato per le prove nel suo paese avesse raccolto grandi consensi a Roma, a Napoli e a Catania, nessun investitore credette fino in fondo in quell’intuizione rivoluzionaria. E qui si arriva alla parte più triste: la Trinacria finì per fare da abbellimento ad un triste e polveroso magazzino, mentre Russo, che nel frattempo, tornato in Sicilia, era diventato assessore di Adrano, morì di stenti, povero e solo, nel 1910.
Nonostante, durante la terribile epidemia di colera che nel 1887 funestò Adrano, si prodigò per mettere in salvo più cittadini possibile e per depurare le acque in modo da limitare la diffusione del contagio, fu spesso osteggiato dalle famiglie più abbienti, che prepotentemente pretendevano di tenere per loro le riserve di acqua pulita. Col passare degli anni, il ricordo di questo grande inventore e uomo di scienza andò affievolendosi e con esso la riconoscenza che avrebbe meritato. Di lui sembra rimasto soltanto un nome e un progetto, una visione, frustrata dall’incapacità della moltitudine di vedere oltre il proprio naso, e l’amarezza, come succede a tanti giovani brillanti al giorno d’oggi, di vedere i propri sogni prigionieri dei cassetti dove erano nati. E il merito, probabilmente, di aver aperto la strada alla modernità.