Un semplice gioco che invita gli utenti a condividere (e confrontare) due foto che li ritraggono a dieci anni di distanza. Questo il cuore della #10YearsChallenge, che ha spopolato sui social negli ultimi giorni. Ma nell’epoca della datacrazia e di Cambridge Analytica quali sono le ripercussioni sociali delle nostre condivisioni social? Ne abbiamo parlato con il prof. Derrick de Kerckhove, sociologo di fama mondiale e direttore scientifico di Media Duemila.

Professore, secondo l’articolo di Kate O’Neill recentemente pubblicato su Wired USA, la #10YearsChallenge esporrebbe gli utenti al rischio di un machine learning legato al riconoscimento facciale. In altre parole, un sistema di intelligenza artificiale potrebbe imparare a riconoscere meglio i nostri volti per dei fini illeciti. Lei ritiene questo rischio reale?
«Sinceramente, non credo che la #10YearsChallenge esponga gli utenti a una minaccia gravissima, ma spesso dietro cose apparentemente innocenti si cela qualcosa di imprevedibile. Il rischio dietro l’angolo, nei social, è che l’apprendimento dei nostri dati possa essere utilizzato per attuare dei ricatti. E credo che questo problema di sicurezza aumenterà sempre più nel corso degli anni. In generale, poi, oggi il machine learning è presente in moltissimi contesti, basti pensare a come sistemi come Alexa, Siri o l’assistente Google imparino tutto su di noi».

«In Cina il Social Credit System utilizza la sorveglianza di massa per premiare i cittadini virtuosi. La nostra società è individualista e non permetterebbe una cosa del genere, ma in un certo senso abbiamo già accettato di cedere alcuni dei nostri diritti»

Quale altro utilizzo è possibile con i nostri dati? E che prospettive ci aspettano per il futuro?
«In Cina è in lavorazione (e sarà obbligatorio dal prossimo anno ndr) il “Social Credit System”, un sistema di sorveglianza di massa basato su tecnologie per l’analisi di big data. L’idea è che, mediante tecnologie di riconoscimento facciale e non solo, ciascun cittadino venga sempre tracciato in tutte le sue azioni (compreso un semplice attraversamento pedonale ndr) e che venga premiato per quelle positive con del credito sociale il quale potrà, ad esempio, essere convertito nella possibilità di fare un prestito in banca, o mandare il proprio figlio in una determinata scuola. Naturalmente, un sistema del genere ha un impatto più forte in un contesto come quello cinese in cui i cittadini, avendo meno il culto della personalità individuale, riescono ad accettare l’idea di essere sorvegliati per il bene comune. Tuttavia anche noi, senza dover ricorrere a un governo che ci impone “social credits”, abbiamo già accettato qualcosa del genere. L’indifferenza radicale che la gente ha dimostrato dopo il caso Cambridge Analitica dovrebbe farci paura».

Perché le persone continuano a condividere i propri dati, anche dopo una presa di coscienza? Chi aveva presagito la morte dei social dopo lo scandalo Cambridge Analytica si sbagliava?
«Una presa di coscienza è arrivata da fenomeni come Wikileaks e Panama Papers, che ci hanno fatto capire l’importanza dei dati, ma Cambridge Analtityca ha utilizzato un gioco per carpire informazioni su 50 milioni di persone. Oggi sistemi che fanno la stessa cosa sono in funzione e nessuno protesta. Non c’è stata una protesta come quella dei gilet gialli e se qualcuno lascia Facebook non scalfisce minimamente il sistema. Semplicemente, cambia il gioco, continua l’abuso dei data».

Cosa possiamo fare, allora, per difenderci?
«Silvio Siliprandi (già ad di “GfK Eurisko” ndr) ha inventato un’app chiamata Weople che permette di prendere il controllo dei propri dati e impedire ai grandi di utilizzarli senza il tuo permesso. Al fine di aumentare il coinvolgimento degli utenti vi ha inserito un sistema di remunerazione, per cui passa il messaggio che con quest’app possiamo “fare soldi dormendo”. A livello globale ci sono altri progetti del genere. Trovo interessante che ci sia uno sforzo per fare qualcosa di intelligente, anche se le adesioni non sono state moltissime e la crescita è lenta».

«Ciò che viviamo oggi è un cambiamento del modo di vedere la realtà e gli altri, paragonabile solo al Rinascimento. Cambia l’epistemologia perché siamo prigionieri di questi sistemi della rete»

Lo scenario che viene fuori, in generale, è un po’ deprimente.
«Lo è se guardato dal punto di vista dell’uomo della cultura attuale, che sta perdendo un sacco di privilegi legati all’identità privata e alla privacy. Ciò che viviamo oggi è un cambiamento del modo di vedere la realtà e gli altri, paragonabile solo al Rinascimento. Cambia l’epistemologia perché siamo prigionieri di questi sistemi della rete. Negli ultimi 400 anni abbiamo sviluppato un’etica della persona privata che è propria della democrazia. Oggi tutto questo viene rovesciato e, sebbene il nostro reputation capital sia importante in pochissimi se ne occupano».

Quindi anche il concetto di democrazia è destinato a cambiare?
«La parola democrazia, in greco, significa letteralmente potere del popolo (da δῆμος, popolo e κράτος, potere), ma se oggi pensiamo alla “repubbliche democratiche” della Cina, della Corea o del Congo, ci rendiamo conto di come questo concetto sia stato ridicolizzato. L’idea del rapporto di rappresentazione della cittadinanza per la gestione di un paese è stato completamente rovinato dal fatto che la pratica non è più democratica. Basti vedere cosa è successo negli USA. Probabilmente l’ultimo contesto dove la democrazia continua più o meno a funzionare è l’Inghilterra della Brexit, dove tutti esprimono le proprie opinioni».

«La democrazia è in pericolo. In futuro i governi prenderanno sempre più decisioni algoritmiche, grazie a sistemi di intelligenza artificiale: ho chiamato tutto questo datacrazia»

Cosa succederà, allora?
«La democrazia è in pericolo e nel futuro la vedo sempre più come un accordo generale di simmetria tra i governati e il governo, in cui quest’ultimo prendendo decisioni “algoritmiche” grazie a sistemi di intelligenza artificiale, si trova sempre più nel sistema di dati e analytics. Ho chiamato tutto questo datacrazia e vedo questo fenomeno crescere in vari paesi. Come dicevo, siamo in un periodo di transizione, vedremo come evolverà l’indipendenza e l’autonomia delle persone nel futuro».

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