Nata in una famiglia di musicisti, Desirée Rancatore inizia prestissimo a suonare il violino ma è a sedici anni che scopre quella che sarà la sua vera aspirazione, il canto. La limpidezza della sua voce e la capacità di raggiungere con sicurezza gli acuti la fanno entrare subito nell’Olimpo della musica. A diciannove anni, infatti, il soprano palermitano debutta al Festival di Salisburgo e da quel momento calcherà i palcoscenici di tutto il mondo. In occasione del Galà lirico organizzato dal Massimo Bellini di Catania che questa sera la vedrà protagonista insieme a Shalva Mukeria, Laura Polverelli e Carmelo Corrado Caruso, l’abbiamo intervistata per farci raccontare il suo ritorno sulle scene dopo il lockdown e la sua dedizione alla musica in veste d’interprete e insegnante.  

Emozionata per questa sera?
«Sì, a Catania ho cantato veramente poco quindi mi fa piacere tornare e poi interpretare Norma nella città di Bellini è sempre una grande felicità».

Nel suo repertorio però la scrittura belliniana è arrivata dopo Mozart, Salieri e Donizetti.
«La prima volta che ho cantato Bellini è stato I Puritani nel 2008, due anni più tardi è toccato a La sonnambula. Norma invece l’ho debuttata nel 2018 quando la mia vocalità si è evoluta ancora. Prima di accostarmi a Bellini volevo raggiungere la maturità di quel repertorio: in venticinque anni di carriera la voce ha fatto un percorso che io ho solo assecondato».

In cosa consiste secondo lei l’unicità di Bellini?
«Sebbene Bellini e Donizetti abbiano degli aspetti in comune, la difficoltà d’interpretare il compositore catanese si rintraccia nella purezza delle linee melodiche, nella vocalità esposta e nella ricchezza di sfumature, così come richiede la sua scrittura».

Suo nonno era batterista di Totò e Macario, suo papà clarinettista e sua mamma cantante lirica, se non avesse intrapreso anche lei questa carriera che professione avrebbe fatto?
«Ho studiato moda quindi probabilmente avrei fatto la stilista. Le mie due grandi passioni sono sempre state queste, solo che a un certo punto il canto si è imposto in maniera prorompente anche se non ho mai smesso di disegnare abiti e dipingere».

A Foligno ha appena concluso una masterclass di canto, quali sono gli insegnamenti più importanti che trasmette ai suoi allievi?
«Oltre alla respirazione che è alla base di tutto, è fondamentale ascoltare il proprio corpo, rimanere con i piedi per terra ma anche essere e non fare il personaggio. Insegnare mi dà tanto, mi fa crescere quotidianamente insieme ai ragazzi ed è una scoperta continua».

All’inizio della mia carriera mentre tutti andavano in vacanza o in discoteca io provavo otto ore al giorno in teatro ma è stata una scuola di disciplina

Lei ha debuttato giovanissima, in generale consiglierebbe d’iniziare così presto la propria carriera?
«Se devo essere razionale consiglierei di aspettare, perché la voce ha bisogno di assestarsi anche se questo è un mondo in corsa. Sempre più spesso infatti si cercano giovani per interpretare ruoli da protagonisti. Una pretesa a mio avviso esagerata, anche perché la voce è una soltanto e una che si logora non c’è più niente da fare».

Avendo iniziato così presto a lavorare ha sentito che le è mancato qualcosa?
«Sì, mi è mancato parecchio della mia età dell’epoca. Mentre tutti andavano in vacanza o in discoteca io provavo otto ore al giorno in teatro, però, devo anche dire che è stata una scuola di disciplina per me».

Qual è il ricordo più bello del debutto al Festival di Salisburgo nel ruolo di Barbarina?
«La mia totale incoscienza. Anche se i miei colleghi erano Ildebrando D’Arcangelo e il compianto Dmitri Hvorostovsky io non li conoscevo, venivo dalla mia bellissima famiglia musicale ma ero completamente al di fuori di questo mondo dove sono stata catapultata per le mie doti particolari, i sovracuti, la facilità nel raggiungere le note alte che lasciavano tutti a bocca aperta. Quando ti affermi è difficile riacquistare quella leggerezza perché hai un nome e devi sempre dimostrare qualcosa mantendo un livello alto. Solo nei grandi a fine carriera ho rivesto quell’incoscienza dei mie 18 anni, forse anche io la riacquisterò alla fine».

Spesso si parla di tecniche e metodi di canto, qual è secondo lei il segreto per preservare le proprie corde vocali?
«Da secoli la tecnica è solo una: respirazione costo-diaframatica, emissione di fiato uniforme, suono in maschera. Per mantenere la propria voce al meglio occorre anche una disciplina di vita però quindi evitare alcuni alimenti, non parlare a voce alta, non bere e non fumare oltre naturalmente a non bruciare le tappe del repertorio».

Molto spesso nella costruzione di un personaggio mi piace ragionare da pubblico, così mi chiedo cosa vorrei vedere e capire di una storia

Da Olympia a Lakmé passando per Gilda, a quale tipologia di personaggio si sente più vicina?
«Mi divertiva molto interpretare Olympia, ho fatto più di 200 repliche vestendone i panni. Ho interrotto bruscamente quel legame solo per non rimanere imbrigliata in quel cliché assecondando anche quello che la mia voce richiedeva a quel tempo, il belcanto puro. In generale ho sempre cercato di portare e un po’ di Desirée dentro le eroiche che interpretavo. Molto spesso nella costruzione di un personaggio mi piace ragionare da pubblico, così mi chiedo cosa vorrei vedere e capire di una storia. Apro lo spartito, leggo il libretto, le pause e cerco di capire quello che voleva trasmettere il compositore perché ognuno ha dato un’impronta caratteriale e musicale ai personaggi che va ricercata ed evidenziata».

Ci sono dei ruoli che non canta più e altri ai quali ambisce?
«Olympia non la canto più dal 2009 come anche Lucia. Gilda l’ho cantata fino all’anno scorso, mi piace ma adesso è un ruolo più lirico che di coloratura. I Puritani mi piacerebbe ancora interpretarli così come Elisir, Don Pasquale anche se il mio repertorio si sta spostando sulle regine donizettiane. Se non ci fosse stato il Covid dopo Stuarda avrei dovuto debuttare Bolena. Il mio repertorio oggi è quello del belcanto e della musica francese matura, per esempio Faust, Roméo et Juliette, I Capuleti e i Montecchi. Prossimamente debutterò la Contessa di Alamaviva ne Le nozze di Figaro e poi farò una puntatina su Puccini, una consapevolezza alla quale sono arrivata durante il lockdown. Studiando La bohème l’ho sentita congeniale, quindi con un cast adatto potrei anche interpretare Mimì ma senza andare oltre».

Quindi questi mesi di confinamento sono stati proficui per lei?
«Da due anni studio con la Devia, il mio mito da quando avevo quattordici anni e abbiamo continuato a  farlo anche online. Se hai un orecchio sensibile riesci a cogliere lo stesso facendo lezioni ugualmente interessanti».

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