«Abbiamo bisogno che il pubblico torni ad abitare questo Teatro». Per Laura Sicignano, direttrice del Teatro Stabile di Catania, regista e autrice, insieme Alessandra Vannucci, dello spettacolo “Donne in guerra” questo è un momento cruciale per scendere nuovamente in pista, dopo due anni di difficoltà. Non che prima la situazione fosse semplice per l’Ente etneo, ma la pandemia ha gravato pesantemente su una struttura già fragile. «Ho riflettuto a lungo – evidenzia – su quale spettacolo inaugurale potesse garantire un coinvolgimento forte del pubblico facendo la differenza tra una visione on-line è una dal vivo. Ho pensato fin da subito che “Donne in guerra” fosse quello giusto, non solo perché prevede un numero limitato di spettatori consentendoci anche di fare dei lavori all’interno della sala Verga. Ma anche perché con una recitazione così intima, a tu per tu tra le artiste e il pubblico, quest’ultimo diventa parte del percorso». Sì, perché “Donne in guerra”, in scena dal 27 settembre fino al 29 ottobre, è un viaggio reale ma anche simbolico. Nato nel 2008 per essere rappresentato a bordo del trenino storico Genova-Casella, negli anni la pièce si è aggiudicata molti premi fra cui l’Ubu, il Premio internazionale Les Eurotopiques 2014 e il premio Fersen alla regia nel 2015. «È su un treno che questi sei personaggi s’incontrano, scappano, si allontanano dai propri affetti».

Com’è stata ridisegnata la sala Verga per accogliere uno spettacolo site- specific?
«La scena è molto evocativa, il binario della ferrovia è una sorta d’installazione all’interno della quale è inserito anche il pubblico. Non voglio svelare altro, per non bruciare la sorpresa. Posso solo aggiungere che lo spazio è stato completamente rivoluzionato».

A quale materiale avete attinto per la stesura del testo drammaturgico?
«Le fonti sono state molteplici: schegge di memoria, orali o scritte, di donne qualsiasi. Siamo partite da storie personali per arrivare agli archivi. A Genova ad esempio ce n’è uno di scrittura popolare molto interessante che raccoglie diari, lettere e scritti privati. Ho anche intervistato parecchie donne che avevano vissuto appieno la Seconda Guerra Mondiale per avere una testimonianza diretta».

Perché è importante preservare la memoria del passato?
«Molte persone come me sono cresciute con i racconti della guerra, ci hanno accompagnano nella crescita come nella costruzione del nostro immaginario. Queste storie hanno anche contribuito a creare un’identità di Paese; per questo le sei attrici hanno una grande responsabilità nel narrare le vicende di queste donne che oggi non ci sono più a una platea giovane. Nelle varie edizioni di questo spettacolo ho visto il modo in cui il pubblico s’identificava, trovava la propria storia, il proprio personaggio, rievocando i ricordi di famiglia. Sono elementi fondamentali come l’aspetto di genere. Non è casuale che siano sei donne a raccontare questi fatti, perché come sappiamo bene la Storia non ha dato loro tanta voce».

Se vogliamo la guerra ha contribuito all’emancipazione delle donne, che per la prima volta si sono trovate a occupare il posto degli uomini impegnati al fronte.
«Sì, diciamo che fino alla prima metà del Novecento le donne erano marginalizzate pur rappresentando metà della popolazione. Non potevano esprimersi dal punto di vista politico; spesso, anche nelle classi più abbienti, era impedito loro di studiare ed erano completamente estromesse dai ruoli decisionali e di responsabilità. La svolta arriva nell’immediato dopoguerra quando come prima grande conquista ottengono il diritto al voto. Un traguardo importante dopo anni difficili in cui si erano dovute rimboccare le maniche, prendendo decisione e facendo scelte».

Laura Sicignano. Foto di Antonio Parrinello

E dal punto di vista drammaturgico che valore assume questo testo?
«A differenza di altre opere, queste sei protagoniste non sono funzionali ad alcun personaggio maschile: non sono la moglie di, la figlia di, la sorella di. Sono a sé stanti. Questo è un dato abbastanza rilevante e poi, credo che questa metà di popolazione abbia il diritto di essere raccontata dignitosamente da un punto di vista femminile sebbene questo sia uno spettacolo profondamente umano e universale. Parla di quella guerra per raccontare di tutti i conflitti, di queste sei donne per narrarci di tutte quelle persone che si sono trovate coinvolte in uno scontro bellico. Sono certa che ogni spettatore e ogni spettatrice troverà qualcosa di sé in questo spettacolo, qualcosa che lo riguarda a prescindere dal fatto che abbia o non abbia vissuto la guerra».

Federica Carrubba Toscano, Egle Doria, Isabella Giacobbe, Barbara Giordano, Leda Kreider e Carmen Panarello sono i nomi di queste sei attrici. Com’è stato lavorare con un cast interamente al femminile?
«Non ho trovato grandi differenze. Per me è importante il rispetto, la passione e la professionalità. Le attrici, lo staff tecnico e tutte le persone coinvolte nello spettacolo stanno lavorando in maniera davvero rara, per creatività e armonia, e credo che questo si vedrà. Queste sei artiste, tutte molto intense, sapranno agganciare il pubblico dal punto di vista emotivo, facendogli fare un salto nella memoria».

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