La Prova orale.

Dopo due anni difficili trascorsi, a singhiozzo, ora in modalità Dad, ora in presenza precaria, sempre a rischio di essere ricacciati “in castigo” dietro allo schermo del pc, l’Esame di Stato si è palesato infine nel mio Liceo classico nella forma di una ineluttabile concretezza.

Schierati dietro alla fila continua dei banchi, davanti alla postazione solitaria del candidato, che ci guarda dall’altra parte della “trincea”, insieme ai miei colleghi tentiamo di gettare un ponte fatto di sguardi rassicuranti con i nostri alunni che, uno dopo l’altro, si consegnano al dialogo che sancisce la fine del loro percorso scolastico.

La mise di rigore quest’anno prevede camicia bianca per lui, giacca di colore deciso in contrasto col top e pantalone neutro per lei. Il mazzo di fiori colorato che generalmente attende le fanciulle scarsamente si abbinerebbe, infatti, a jeans e maglietta.

Ed eccoli lì, finalmente! Un poco titubanti, con lo sguardo sperduto o rivolto spavaldamente verso i commissari, appongono la firma e analizzano il documento di carattere letterario, storico, filosofico o scientifico sul quale costruire il proprio precorso tra le diverse discipline.

Il tentativo di fondo è il medesimo in tutti i candidati: argomentare credibilmente, rispetto al percorso sorteggiato dai prof, la pertinenza degli autori e dei temi che non erano già affondati nel mare dell’oblio prima che finisse l’ora di lezione. E qui sta l’arte vera in cui si palesano i diversi tipi umani da Esame di Stato e i fatti che li caratterizzano.

Il tipo che mi piace di più è “lo sperto”. Quello che gli insegnanti solitamente definiscono con la formula più classica: “È intelligente, ma non si applica”. In modo impertinente, tra le righe del suo discorrere, rinfaccia a noi insegnanti una verità dura da accettare: “Quello che so – sembra proclamare introducendo i vari argomenti – lo so perché mi interessa ed è mio. Quello che non so ‘ è perché non mi interessa. Punto”.  Sebbene risulti spesso quasi irritante, “lo sperto” ci ricorda che esiste sempre una via per raggiungere la mente e il cuore dei nostri studenti e studentesse, ma che non sempre riusciamo a trovarla. O accetti la sfida, o ti lamenti… e cambi mestiere. Voto: 20/25.

Il tipo di alunno appena descritto non va confuso, però, con “l’intortatore”. Questo professionista del precotto ha già deciso il percorso da propinare alla commissione indipendentemente dalla traccia proposta e dalle domande che cercano di correggere il tiro. Un sorriso di intesa (su cosa poi?), una spiegazione buttata lì a infiocchettare quello che, a tutti gli effetti, è un affronto all’intelligenza di chi ascolta e la faccia tosta di uno che, dopo un milione di scuse inventate, crede di avere ottenuto il proprio scopo. Voto: 10/25.

Lo “sperto”, di solito, ha un amico o un’amica geniale. “Il genio” non si accende a comando. Nel nostro caso, incredibilmente, la scintilla si è prodotta durante un incontro scuola-famiglia tra la docente di fisica e i genitori dell’alunno in questione. Questi ultimi anziché lamentarsi delle insufficienze con cui l’insegnante valutava l’impegno del proprio figlio, hanno preso sul serio l’invito a costringerlo ad impegnarsi più a fondo, scommettendo tutto su quell’intuito nella risoluzione dei problemi che la prof aveva intravisto nascosto tra il disimpegno e la furbizia del ragazzo. Risultato: lo studente del Classico scopre di essere un fisico. Voto: 21/25

In generale si può dire che persino gli studenti del Liceo Classico leggano poco, e forse non è tutta colpa di Netflix. È facile, dunque, che si faccia un paragone “a dispetto di Hegel” anziché “rispetto” al filosofo in questione; che un’idea risulti “allusoria” anziché “illusoria” e che il naso di Vitangelo Moscarda risulta “distorto” piuttosto che semplicemente un po’ “storto”.

C’è però chi legge. È “il poeta”. In lui o in lei, le parole trovano una vibrazione di corrispondenza. Scorgendo nell’anomalia del XV verso de L’infinito di Leopardi lo stesso slancio della mente e del cuore che spinge il poeta di Recanati oltre la celeberrima siepe, la mia alunna trae imperiosamente fuori dalla tomba del pessimismo l’autore del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia per restituirlo al realismo di chi, senza fuggire dal reale, non smette di bucarne la dimensione sensibile con le domande che ne sondano la sterminata profondità. Voto: 24/25

Categoria “ Superheroes”. Accade anche l’imprevedibile durante gli esami anzi, il miracolo. Può succedere infatti che il limite di una timidezza estrema che diventa ostinata balbuzie con cui lottare strenuamente per anni uscendone quasi sempre sconfitti, nel momento cruciale, facendo ricorso a tutte le tecniche di logopedia che si sono apprese e alla determinazione che si è ereditata, diventi sorprendente scioltezza espressiva che ci ricorda con le parole di Massimo Recalcati, che «l’insegnante ideale non è chi travasa o raddrizza una pianta storta, ma uno che ama chi vuole imparare». Voto: 22/25.

“Quelli bravi” difficilmente sorprendono. Il loro destino è segnato: se va bene confermano, altrimenti deludono. Incasellati e ordinati come un conto corrente, infatti, nell’esposizione puntuale e precisa persino il tema dell’accoglienza della diversità può avere il sapore insipido del luogo comune. Spesso, come per lo Hobbit di Tolkien prima dell’incontro con Gandalf, nel caso dei “bravi” si può presupporne l’opinione “su un problema qualsiasi senza che ci sia bisogno di chiedergliela”. Voto: 25/25 of course.

“Figli di immigrati”. È il tipo umano che, per ragioni biografiche, mi interessa di più. Nell’esperienza di quest’anno esso ha due modalità espressive; quella di un’integrazione così apparentemente riuscita da non permettere di rintracciare i segni di un’origine che rischia di apparire completamente, ma anche pericolosamente, cancellata. Oppure ha la forma di chi, avendo deciso di affrontare la prova rifiutando la presenza di alcuno, accetta, però, di ripercorrere davanti ai suoi insegnanti le tappe del proprio viaggio tra le mura scolastiche. Un viaggio iniziato tra i banchi a sette anni, quando si era ritrovata abbandonata, da «sola in un’aula di ventisette bambini» esposta all’indifferenza ostile dei compagni. Quell’itinerario era proseguito, poi, tra «le risate delle maestre» a sottolineare l’uso approssimativo della lingua italiana di quella bambina albanese. Un mondo diverso si era aperto al liceo e adesso: l’orgoglio di avercela fatta e il riconoscimento che “tutto è stato utile per crescere”. Voto: 18/25.

Cosa ha imparato il prof da questi Esami di Stato iniziati tra il timore, sollevato da tanti, di pretendere troppo dagli studenti dopo due anni di Covid e i rischi insiti in un atteggiamento, al contrario, troppo protettivo?

La risposta viene proprio dal “tipo che è cresciuto”. Con lui la commissione si complimenta alla fine della prova orale. “Siamo incentivati a dare il meglio di noi – afferma grato –  quando qualcuno ci chiede di dare il meglio”. È uno sguardo di stima che fa crescere. Ai ragazzi serve una compagnia, non un paracadute.

Finisce l’esame ma, forse, non il rapporto con queste giovani umanità. Non tutto è stato detto.  Rimane la storia di un dialogo iniziato tra banchi e cattedra e affidato adesso alle nostre reciproche libertà. Un discorso che per delicatezza e discrezione resta un po’ sospeso per aria, come il mazzo di fiori che un papà non osa ancora consegnare.

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