Noi giovani visti come perfetti cittadini digitali, impareremo anche a vivere la “vita reale”?
Eterni pionieri. È così che definirei la mia generazione. Si tende ad avere dei pregiudizi verso i più giovani, pensando che per questi sia tutto più facile, che percorrano strade battute. Io non sono d’accordo. Molto spesso ci siamo trovati di fronte a modalità nuove nel superare delle tappe fondamentali. Ammetto che dal punto di vista accademico, banalmente, la “realtà inesplorata” del periodo pandemico mi ha ricordato la sensazione provata per l’esame di maturità del 2019, quello con le tre buste: nessuno l’aveva mai fatto.
Avevo aspettato con ansia il periodo dell’università, idealizzandolo molto, forse troppo. Dopo averne avuto un primo assaggio, questo ha rapidamente lasciato spazio a una fase che stavolta sarebbe stata nuova per tutti.
Oggi la tecnologia è essenziale per svolgere delle mansioni che durante una pandemia metterebbero a rischio la nostra salute. Noi giovani in particolare siamo visti come i perfetti “cittadini digitali”. Ma riusciremo ad imparare ad essere anche persone reali? A vivere la “vita vera”?
Ebbene non so se questo sia solo un sentimento personale o comune, ma ho paura. Temo di non essere ancora riuscita a raggiungerla, la vita vera, rimanendo costantemente in attesa. Nel 2020 questo stallo è diventato però qualcosa di universale, giustificato.
Il confinamento mi ha insegnato a vivere in modo più cosciente. Credevo di avere una vita abbastanza noiosa, ma già dopo qualche mese ne sentivo la mancanza. Mi mancavano i chilometri a piedi per arrivare all’università, gli appuntamenti al cinema dell’ultimo minuto, il farmi strada a fatica in mezzo alla folla: al centro città la sera, alle manifestazioni, fuori dalle aule per prendere i posti migliori.
Questo periodo mi ha dato più tempo. Ho cominciato a studiare organizzandomi meglio, dato che prima preferivo trascorrere le ore buca per un caffè tra colleghi. Questo non mi fa certo onore, eppure credo che mi aiutasse ad affrontare lo studio in maniera un po’ più leggera, meno meccanica. Ho aspettato a lungo questi anni. Mentre sono già qui, l’attesa non è ancora finita, tornando ad essere il rumore di fondo della mia quotidianità.
*studentessa del corso di Storia e Tecnica del Giornalismo all’Università di Catania