Lucio Dalla se n’è andato dieci anni fa, ma in un certo senso è come se fosse ancora qui. Certo, ora che si avvicina il primo marzo, il giorno della sua improvvisa scomparsa in Svizzera, e, a stretto giro, il 4 marzo, il giorno del suo compleanno, l’intensità del ricordo cresce. Un affetto che, dopo dieci anni, non accenna a diminuire. A Milo, il paesino alle falde dell’Etna dove Dalla era vicino di casa di Franco Battiato, all’alba del primo marzo (ore 6.45) si saluterà il nuovo giorno con un flashmob musicale in omaggio a Lucio Dalla, le cui canzoni verranno proposte “live” da un originale quartetto formato da Peppe Giuffrida (voce), Gianfranco La Pira (pianoforte), Alessandro Longo (violoncello) e Chiara Veroux (arpa). Luogo dell’evento sarà piazza Belvedere, dove in estate sarà collocata una statua che raffigura i due illustri e compianti abitanti del centro etneo. Il 4 marzo Bologna ricorderà ancora una volta Lucio Dalla con la prima grande mostra dedicata al cantante emiliano. L’esposizione – nel biennio celebrativo dei dieci anni dalla morte e degli 80 anni dalla nascita – percorrerà in più tappe tutta l’Italia a ricordo di un artista amato dal pubblico dell’intero Paese.

«Non si perdeva mai la festa di Sant’Andrea. E ogni anno passeggiava per il paese gustando la calia calda, chiacchierando con tutti e, spesso, con allegria accompagnava i giovani che suonavano in piazza»

In questi anni, ci sono stati grandi concerti, omaggi discografici, programmi tv, tanti libri (Lucio Dalla. Immagini e racconti di una vita profonda come il mare di Massimo Poggini e Dice che era un bell’uomo… – Il genio di Dalla e Pallottino di Massimo Iondini gli ultimi arrivati), il costante desiderio collettivo di ricordare un personaggio semplicemente straordinario. La sua morte ha rivelato quanto profondamente la figura di Lucio Dalla sia entrata nella vita del nostro Paese. E non solo perché ha firmato alcune delle canzoni più belle e importanti della storia della musica italiana. Al contrario di molti suoi colleghi, Dalla viveva una vita aperta agli altri, animato da una curiosità e una vitalità inesauribili. Coltivava passioni ed era sempre disponibile all’incontro con gli altri, giocava con l’ironia e difendeva l’indipendenza di giudizio. Aveva lottato per affermarsi e quando era diventato super famoso non aveva cambiato di molto la sua vita e le sue abitudini. «Non si perdeva mai la festa di Sant’Andrea», racconta Alfredo Cavallaro, presidente della Pro loco di Milo. «E ogni anno passeggiava per il paese gustando la calia calda, chiacchierando con tutti e, spesso, con allegria accompagnava i giovani che suonavano in piazza. Un grande artista e un uomo generoso».

La statua in miniatura di Dalla e Battiato

Lucio Dalla era un performer sorprendente, divertente, un imbonitore, uno che duellava a colpi di gramelot con Dario Fo, faceva cabaret smontando il clarinetto e duettava con Michel Petrucciani e i grandi della musica, firmava regia d’opera. Uno straordinario caso di empatia naturale abbinata a una rara abilità di comunicatore, affinata lungo una carriera intensissima.

Una figura così non può essere considerata solo per la sua musica ma anche per il contributo che con la sua intelligenza e il suo talento ha dato per rendere migliore il Paese. «Un cantante popolare e appassionato le cui canzoni hanno catturato il tumulto politico del suo Paese», lo descrive sulle pagine del prestigioso New York Times il critico A. O. Scott, parlando del documentario Per Lucio dedicato a Dalla da Pietro Marcello. È un’ampia recensione che esalta le canzoni del cantautore bolognese definendole «rapsodiche e discorsive, polemiche ed osservanti: spesso nell’arco di una sola strofa». Un ritratto lusinghiero ed appassionato della poesia dell’autore di Caruso, incentrata anche sulle caratteristiche di musicalità di una lingua – l’italiano – diversa da quella dal critico americano.

Spesso i personaggi di Dalla sono ragazzi: timido baluardo contro l’incessante incedere della vita, sorta di specchio di Dorian Gray, in cui trovar riflesse le proprie urgenze di vita

Una vita di provincia quella di Dalla: il clarinetto che gli regalò la madre a 13 anni, la scuola dei preti, il primo complesso jazz, la Bologna della rivolta e quella del benessere, il successo, il poeta Roberto Roversi e l’amico Gianni Morandi, l’Italia di Berlusconi e l’Italia del Duemila, l’era di Nuvolari e Futura. Un’Italia che Dalla ha saputo descrivere osservandola tra la gente, dalla Piazza Grande, che poteva essere quella di Bologna, di Milo o delle Tremiti. E l’ha raccontata nei suoi brani con sguardo malinconico, meravigliato, ironico, giocoso e sognante, portando la canzone d’autore, della quale è considerato un “patriarca”, nella musica popolare, facendola così entrare nelle case di tutti gli italiani, trasformandola nella storia collettiva di un Paese.

La targa a Milo dedicata a Dalla

Una delle caratteristiche della produzione di Dalla è stata la presenza assillante della Storia nella vita dell’uomo. E Storia non è solo mero ricordo di date e avvenimenti: è soprattutto consapevolezza, un tavolo da gioco sul quale fare i conti con il proprio passato e il proprio futuro. Spesso i personaggi di Dalla sono ragazzi: timido baluardo contro l’incessante incedere della vita, sorta di specchio di Dorian Gray, in cui trovar riflesse le proprie urgenze di vita. Ragazzi spesso sbandati, senza alcun Dio, ma dotati, stranamente, di una incrollabile fede. Dietro ogni angolo, Dalla cerca strenuamente una scappatoia, rappresentata magari dalla luna o dalle stelle, come in Anna e Marco o nel brano Le parole incrociate, sorta di rapido excursus sugli ultimi cento anni di storia italiana.

Eppure la sua formazione jazzistica e i suoi legami con il poeta Roberto Roversi all’inizio fecero di Dalla un personaggio fuori dal coro, che ha dovuto lavorare sodo e superare non poche difficoltà, prima di ottenere un successo pieno. Nonostante i tanti dischi venduti e il successo da star, Lucio Dalla è rimasto sempre uno spirito libero, dotato di una naturale curiosità che gli permetteva ancora di occupare un posto vitale nella nostra scena artistica e di essere al tempo stesso uno dei pochi capaci di fare della canzone uno strumento di lettura critica della realtà.

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