Rimettere, partendo dal linguaggio, al centro coloro, che troppo spesso, con le loro difficoltà quotidiane vengono dimenticati: a questo mirava l’incontro avvenuto in occasione del workshop internazionale “Il giornalismo che verrà”, che ha visto intervenire la giornalista Ornella Sgroi e condivise le storie di Laura Salafia e Paola Tricomi

Comprendere l’importanza di una buona comunicazione come base per annullare le differenze, per includere, per ridurre marginalizzazione e solitudine. Con questo scopo, presso la Scuola Superiore di Catania, nell’ambito dei lavori del workshop internazionale “Il giornalismo che verrà”, ha avuto luogo l’incontro “Disabilità e informazione”, che, moderato da Orazio Vecchio, addetto stampa dell’Azienda Ospedaliera “Cannizzaro” di Catania, ha visto intervenire Ornella Sgroi, giornalista del blog del Corriere della Sera “InVisibili”, Laura Salafia e Paola Tricomi, due ragazze siciliane che hanno condiviso la loro storia di coraggio e quotidiane difficoltà. Un’occasione per comprendere a fondo un tema, la disabilità, ancora vittima di stereotipi e di mancanza della dovuta attenzione.

RENDERE VISIBILE. Da tre anni Ornella Sgroi è entrata a far parte del blog InVisibili, nato sette anni fa «dall’esigenza di dar voce a storie che non trovavano spazio per essere raccontate. La V maiuscola nel nome sta ad indicare la volontà di rendere visibile ciò che non lo era». Come raccontare la disabilità? «La parola è lo strumento più importante che abbiamo per dare un nome alle cose, per dare loro dignità ed esistenza». A tal proposito, la Sgroi indica il decalogo del linguaggio ideato dal collega Franco Bomprezzi. Dieci punti riguardo la buona informazione sulla disabilità che si possono estendere all’informazione in generale (http://invisibili.corriere.it/2014/04/09/toh-il-mio-vecchio-decalogo/). «Per fare comunicazione sulla disabilità bisogna tenere conto che l’elemento determinante è la persona: sia quella del giornalista che si approccia alla realtà, sia quella che ha una storia da raccontare». In questo senso, è necessario eliminare ogni paternalismo o banalizzazione, perché «le parole sono importanti, mostrano la cultura, il grado di civiltà, il modo di pensare, il livello di attenzione verso i più deboli. Non è una esagerazione. Cambiamo il linguaggio e cambieremo il mondo», scriveva il giornalista Claudio Arrigoni sul medesimo blog. Imparare, quindi, a guardare la disabilità non come una malattia, qualcosa di negativo e da cui stare lontani, ma a raccontarne «la normalità, cercare sempre l’armonia delle parole ‒ conclude Ornella Sgroi ‒ con empatia e sensibilità. Dobbiamo tentare sempre di comprendere le storie che troviamo davanti o che ci vengono incontro».

UNO SGUARDO DALLA FINESTRA. «La mia esperienza è segnata da un prima e un dopo, un tempo a cui è collegato un luogo, piazza Dante, che ha segnato per sempre la mia vita». Così Laura Salafia racconta la storia del suo incidente che dieci anni fa ha cambiato irreversibilmente la sua vita. Un caso di cui i media hanno tanto parlato ma dove a fare la differenza è stata la sua possibilità di trovare il suo spazio per diventare soggetto attivo della narrazione, dando voce al suo mondo tramite degli articoli sul quotidiano “La Sicilia”: «Ho cercato di abbracciare tutto ciò che ci circonda, dando un punto di vista diverso attraverso la scrittura, attraverso il mio sguardo dalla finestra». La disabilità di Laura l’ha condotta ad una condizione in cui svolgere anche le attività quotidiane considerate più scontate, come uscire, andare al teatro o rivedere il mare (la prima volta proprio a dieci anni dall’incidente) e sentire il calore vitale del sole è diventato estremamente difficile: «Se da un lato cerco di dare forza, dall’altro sono tanti i momenti in cui la sofferenza si fa avanti. È come se si fossero realizzate due vite parallele». Nonostante la difficoltà nel convivere con la disabilità, la sua vita è fatta di tante altre cose, segnata anche dall’importanza di avere gli altri accanto «non come segno di dipendenza, ma di unione e aggregazione». Al mondo dell’informazione Laura insegna con empatia e sensibilità che «i giornali dovrebbero mettere in evidenza tutto ciò che c’è intorno alla persona, raccontarne la realtà, dando maggiore importanza non solo ai disabili ma anche a chi gli sta accanto. Un aiuto da parte di forze politiche e informazione per un percorso difficile e di sostegno, senza il quale diventiamo solo soggetti inermi che non riescono a realizzare ciò che desiderano».

Da sinistra: Laura Salafia, Paola Tricomi, Orazio Vecchio, Ornella Sgroi

L’ESIGENZA DI UN SOGNO. «Sono felice di essere qui, ma anche consapevole che se siamo qui, c’è ancora la necessità di parlare di disabilità» ‒ esordisce Paola Tricomi, ricercatrice presso la Normale di Pisa, facendoci riflettere su quanta strada abbiamo ancora da fare. «Io che studio filologia classica dovrei essere qui a parlare di Dante, non di disabilità». Perché ne abbiamo ancora necessità? Come fa notare Paola, viviamo in un mondo in cui a volte un disabile non può entrare in un locale, una assurda mancanza che suona come un “vietato l’ingresso”, in una società che procede per skills enfatizzando i limiti, in cui vieni definito esigente se rivendichi il diritto di studiare: «Io sono una persona esigente perché a me è stato chiesto uno sforzo enorme dalla vita, voglio realizzare la mia persona e pretendo che gli altri mi sostengano nel farlo». Dal suo ingresso all’università, dai suoi tre anni di esperienza di dottorato, sono stati fatti dei passi in avanti, ma la disabilità è ancora una fragilità umana esposta: «Con le parole possiamo cambiare davvero la vita delle persone perché le parole sono immagini e le immagini sono concetti. Le parole sono fatte per cambiare il mondo e spero che voi possiate farlo insieme a me per realizzare il mio sogno: un mondo in cui non esistano disabili ma soltanto persone».

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