Dove la fede incontra la natura: viaggio tra le antiche chiese rupestri di Carlentini
Varcare la Porta Sud del Parco Archeologico è come aprire un portale magico. Da un lato la città di Carlentini, con i palazzi, il traffico e i negozi; poi, improvvisamente, il caos cittadino si disperde in una stradina sterrata che conduce tra pietre antiche, grotte e meraviglie senza tempo. Nel silenzio, con l’aria che profuma di arance ed erbe selvatiche, basta chiudere gli occhi per immaginare l’affascinante miscuglio di volti e culture che popolava i Colli Metapiccola, San Mauro e Ciricò: genti che avevano scavato i propri ripari direttamente nella roccia e che, in alcune di quelle grotte, si dedicavano al culto dei propri santi protettori. Intorno a loro la natura rigogliosa; sullo sfondo il vulcano Etna che, maestoso, domina la vista del parco ancora oggi, regalando un pizzico di meraviglia in più a tutti i suoi visitatori. Compresi noi, che abbiamo deciso di avventurarci tra le sue bellezze.
Se la vista della muntagna è rimasta la stessa nei secoli, le grotte utilizzate come luoghi di culto hanno attraversato moltissimi cambiamenti, che testimoniano il passaggio delle civiltà che le hanno, di volta in volta, occupate.
CHIESA DEL CROCIFISSO. È il caso della Chiesa del Crocifisso, probabilmente antropizzata per la prima volta all’epoca dei greci. Il grosso portone che oggi ne sigilla l’ingresso affaccia sul Nartece, ovvero lo spazio che, in epoca medievale, era riservato ai penitenti e a coloro che non avevano ancora ricevuto il battesimo. Rimane visibile poi la cripta, ambiente sotterraneo che presentava una volta e dei sedili che fungevano da colatoi per i cadaveri: «Era una sorta di luogo di espiazione, dove il corpo si deperiva mentre l’anima si trovava in purgatorio. Gli antichi abitanti del posto credevano che il tempo necessario alla scarnificazione fosse direttamente proporzionale ai peccati commessi» ci spiega Corinne Valenti, professoressa di storia dell’arte e guida turistica esperta di questo territorio che ci ha accompagnato lungo il percorso. «Quando questo processo appariva particolarmente lungo, i parenti del defunto organizzavano messe per far sì che arrivasse al più presto in paradiso».
Ma è sicuramente la ricchezza artistica ad alimentare il grande fascino che la Chiesa del Crocifisso suscita ancora oggi. Sopra i resti dell’altare – rivolto a est secondo la tradizione bizantina – si trova l’affresco più importante, il Cristo Pantocratore tra angeli: «È realizzato all’interno del catino absidale e mostra un Cristo in gloria, benedicente, ritratto in una mandorla – forma tipicamente utilizzata per rappresentare l’incontro tra la sfera celeste e quella terrena. Con la mano destra benedice i fedeli secondo il rito orientale, mentre con la sinistra regge il libro delle Scritture, chiuso con dei sigilli per fare riferimento, forse, all’Apocalisse». Lo sguardo viene quasi rapito da quello del Cristo, si perde tra i dettagli della sua veste, minuziosamente curati, e vibra alla vista dei colori che spiccano tra la roccia deperita: «Indossa una tunica rossa e un manto blu, colori che simboleggiano la natura umana e quella divina.» Non si tratta dell’unica rappresentazione all’interno della grotta, anzi: le pareti sono tutte affrescate per intero e conservano i resti di almeno tre fasi pittoriche ma ad aggi rimangono visibili solo i dipinti oggetto di restauro, e cioè i cinque pannelli in cui sono raffigurati i santi a cui il territorio era legato, una scena di Pietà e il pannello della Madonna del Latte. «Fa parte del ciclo pittorico delle Madonne col Bambino. È raffigurata teneramente, mentre allatta, e lascia trasparire un’attenzione psicologica diversa rispetto agli altri affreschi. La Madonna rivolge lo sguardo ai fedeli, un po’ come se fosse la mamma di tutti, mentre il bambino è completamente aggrappato al suo seno».
GROTTA SAN MAURO. Altrettanto affascinante è la Grotta San Mauro, facente parte dell’omonimo complesso composto cavità naturali distribuite lungo tutta la valle che, in passato, erano considerate vere e proprie chiese di quartiere, ognuna intitolata a un santo diverso. Ha tutte le sembianze di una grotta primitiva, a cui si accede scendendo una pila di gradini di pietra, che conducono a uno spazio affiancato da altre due cavità. Anche in questo caso, sono le tracce artistiche che conserva a definire la sua unicità. «È visibile la sagoma di una mandorla che, secondo alcuni esperti, faceva da cornice a una scena di natività o a un Cristo. Ai lati si intravedono appena un cielo stellato, un capitello con motivo ionico e qualche angelo: uno suona uno strumento a corde, un altro mostra solo il volto e le ali e del terzo è pervenuto qualche frammento. Sui pannelli laterali, probabilmente, erano dipinte le figure di due santi a cui era legato il culto di questa chiesa; uno dei quali, secondo i racconti di storici locali, sarebbe San Mauro». La particolarità di questo affresco sta nel fatto che non ricopriva le pareti per intero ma, pur essendo contiguo all’interno dell’ambiente, era ben delineato.
LE ALTRE CHIESE RUPESTRI. Il Parco Archeologico di Leontinoi ospita altre chiese rupestri, alcune delle quali non hanno ancora rivelato tutte le proprie bellezze. Come la Chiesa della Solitudine, «appartenente al complesso delle Grotte della Solitudine, così chiamate perché, probabilmente, erano un luogo di eremitaggio. Al loro interno ci si dedicava alla preghiera e alla contemplazione, in un contesto staccato dalla vita cittadina. Tra gli affreschi che ospita c’è la Deposizione del Cristo dalla Croce». Altre chiese rupestri sono quella del Cristo Biondo e la Chiesa ad Archi Compositi, così soprannominata per la sua particolare struttura architettonica. Quest’ultima è stata in parte sepolta da un accumulo di massi e terra, e conserva un affresco di cui rimane visibile soltanto il volto di un Cristo. Per ammirarlo da vicino è necessario calarsi tra le rocce e la terra, avventurandosi con coraggio tra quelle tracce di passato che altro non sono che inestirpabili radici