Una delle prime ipotesi di viaggio nel tempo con cui mi sono confrontata risale a un Natale della mia infanzia, quando in una puntata firmata Disney i nipoti di zio Paperino – Qui, Quo e Qua – vorrebbero che ogni giorno fosse il 25 dicembre e si ritrovano a svegliarsi ogni mattina rivivendo la stessa giornata di festa. Ancora e ancora, fino allo sfinimento.

Solo dopo sono arrivati Ritorno al futuro, i film di Christopher Nolan, le puntate di Big Bang Theory. E poi ancora la letteratura di fantascienza e le teorie dei più grandi astrofisici. Solo che, per quanto assurdo possa sembrare, quell’episodio natalizio mi aveva già segnata a modo suo, dandomi l’impressione che tornare nel passato non sarebbe facile, sarebbe risultato pericoloso e magari, sembravano dirmi i personaggi di quel cartone animato, perfino meno piacevole del previsto.

Qualcuno dirà che è solo la magra consolazione di chi, studiando e informandosi, è venuta a sapere che viaggiare nel tempo è quasi impossibile, o che comunque – per dirla con le caute parole di Doc Brown – «causerebbe un paradosso temporale il cui risultato potrebbe provocare una reazione a catena che scomporrebbe la tessitura del continuum tempo-spazio distruggendo l’intero Universo». E forse avrebbe ragione.

Ma qualcun altro, magari, sarebbe d’accordo e pensandoci comincerebbe a notare che sono tante le storie in cui il viaggio nel tempo diventa un argomento quantomeno controverso. Una recentissima, pubblicata da Tetra-, è firmata nientemeno che da Loredana Lipperini e si intitola provocatoriamente La strada giusta.

Sì, perché la nostalgia di una ultracinquantenne di nome Francesca le fa effettivamente pensare che essere finita per caso nel 1971 mentre attraversava un tunnel sia una fortuna, un modo per tornare nella giusta direzione. È giovane, in forze, e ha ancora tutta la vita davanti. Una vita fatta di nuotate, di incontri romantici, di libri da scrivere, di concerti dei Dik Dik da giovani.

Se non fosse che, in realtà, si rivela una strada pericolosamente senza uscita. Una rotonda, più che una strada, dalla quale le uscite sembrano tutte vietate. Ci è voluto poco a rivedere con gli occhi della mente i parenti di Paperino affollare casa sua e sbolognare ai nipotini sempre gli stessi regali da scartare sotto l’albero: in un modo più raffinato, più inquietante e più complesso, Loredana Lipperini ha comunque toccato lo stesso tasto problematico.

Con una differenza sostanziale, però, e cioè che se da bambina l’esperienza di Qui, Quo e Qua mi aveva spaventata e intristita, la penna elegante e consapevole della scrittrice romana mi ha ora lasciata con una punta di speranza. «Usa bene il tempo che hai. Non è detto che sia poco. Non è detto affatto», brontola infatti una signora quando la protagonista del racconto riflette ad alta voce sulla caducità della vita.

Detto con quel tono, quando Francesca ha ormai preso la sua decisione, è un ammonimento non da poco. Anzi, una promessa a tutti gli effetti. Che richiama il De brevitate vitae di Seneca, da una parte, e che dall’altra quasi ci fa approdare al Trionfo di Bacco e Arianna di Lorenzo de’ Medici.

«Chi vuol esser lieto, sia: / di doman non c’è certezza», sono le parole dell’umanista e mecenate fiorentino. Ed eccola qui, la chiave, nascosta fra qualche rima del XV secolo, una sentenza latina e una novella contemporanea di rara efficacia, che nelle sue 73 pagine spiega senza diventare didascalica la verità più importante da tenere a mente sui viaggi nel tempo.

E cioè che non importa dove siamo, quando siamo, con chi siamo. Non importa quanti anni abbiamo e quanti ancora ne avremo davanti. Perché quasi tutto resterà comunque un’incognita, una variabile imprevedibile e a tratti dolorosa, e l’unica vera differenza la farà il modo in cui – prima o dopo, nel futuro o nel passato – decideremo di stare al mondo.

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