«Penso che un fotografo che sia realmente tale non può essere che uno scrittore che si esprime per immagini». A parlare così è un grande intellettuale siciliano diventato fotografo per caso, Enzo Sellerio, fondatore, insieme alla moglie Elvira, di quell’elegante impresa culturale che fu la casa Editrice Sellerio, la cui nascita fu a suo tempo alimentata dall’appassionato dialogo con due grandi intellettuali palermitani come lo scrittore Leonardo Sciascia e l’antropologo Antonino Buttitta.

Nato nel 1924 a Palermo, non ha mai abbandonato mai la sua città nonostante negli ultimi tempi la detestasse e lì si spense all’età di 87 anni. Personaggio controverso, affermò che la mafia fosse l’unica forma vitale rimasta in Sicilia e che il sacrificio di Falcone e Borsellino si era rivelato inutile come dimostrava la diffusa illegalità nella sua terra. «Abito a casa mia, non a Palermo» diceva, con una punta d’amarezza.

Laureatosi in Giurisprudenza nel 1944, nel 1952 partecipa a un concorso fotografico in cui ottiene un premio da 50mila lire e la pubblicazione su un’importante rivista siciliana di settore. Le sue immagini, rigorosamente in bianco e nero, si ispirano al neorealismo, che in quegli anni dominava cinema e letteratura. Con la macchina fotografica, Sellerio riusciva a coinvolgere, colpire, far indignare o addolcire l’osservatore. Alla sua lucidità dobbiamo il motto «il centro guardato dalla periferia, per scoprire che la periferia è il centro», che sarà poi fatta propria anche dal Sellerio editore. Proprio questa dichiarazione d’intenti guidò la sua attività di fotografo che fin dagli inizi lo condusse ad eleggere a fulcro ideale del suo universo la Sicilia, riscattata dalla sua ardua condizione “periferica” grazie ad un’affezione che la scruta e la interroga anche, e soprattutto, quando farlo diviene amaro e, talvolta, frustrante.

Di lui lo scrittore siciliano Vincenzo Consolo scrisse: «La fotografia di Sellerio, come ogni vera arte è molto allusiva e metaforica». Verso i quarant’anni Sellerio si trasferisce in America. Ma poi ritorna presto in Sicilia dove, pur avendo girato il mondo, realizza i servizi che lo rendono più celebre e ai quali teneva maggiormente. Documenta ad esempio l’esperienza del sociologo e poeta Danilo Dolci e racconta attraverso le sue immagini i paesi dell’Etna e naturalmente Palermo. Celebre quel fotogramma, che qui presentiamo, nel quale dei ragazzini del quartiere della Kalsa giocano a formare un plotone di esecuzione fucilando per finta un loro coetaneo. Lo scatto è stato realizzato il 2 novembre 1960: la festa dei Morti in occasione della quale i ragazzi ricevevano spesso in regalo una pistola o un fucile giocattolo. Interessante, analizzando meglio la foto, la presenza, oltre che dei ragazzi che sparano al loro compagno dopo aver ricevuto l’ordine di fare fuoco, anche di un gruppo di ragazzine che, da lontano, davanti il portone della Chiesa, guarda quello che sta accadendo con una certa curiosità. Non solo. Sono presenti alla finta esecuzione quattro adulti che parlano tra di loro. Nessuno di loro pare si accorga della scena, o forse si disinteressano volontariamente di un gioco che replica alla perfezione quello che i loro occhi avevano visto sul serio forse nella stessa piazza del quartiere Kalsa di Palermo pochi anni prima, durante la Seconda guerra mondiale.

Sellerio, dopo circa un anno dall’immagine realizzata, presentandola ad una mostra dichiarò: «Avrei mai fotografato una fucilazione vera? Non credo proprio, registrai quella scena perché era soltanto un gioco, e il gioco è la forma in cui la vita dovrebbe essere vissuta». A Enzo ripugnava la violenza e trovarsi spesso faccia a faccia con i tanti morti ammazzati nelle strade di Palermo lo metteva tanto a disagio, tanto che negli anni Settanta fino al 2006, per quasi 30 anni, interruppe bruscamente la sua attività di fotoreporter nella sua città natale.  L’ultimo suo lavoro, nel 1961, per la rivista culturale svizzera “Du”: realizzare un servizio su Palermo per un numero monografico dedicato alla città e nel numero di Natale del 1962 un altro ampio reportage sui paesi dell’Etna.

Quella dell’editore siculo è senza dubbio una fotografia “della gente”, o, ancor più, dei siciliani: fu un testimone appassionato della sorte dei volti e dei luoghi che lo circondavano senza mai scadere nel folkloristico o cedere a inutili forzature. Il suo sguardo neorealista gli permise di far convivere nello stesso scatto motivi apparentemente contrastanti, suggerendo all’osservatore la compresenza di una complessità su cui vale la pensa soffermarsi a lungo. Sellerio, pur entrando in un assordante silenzio come fotografo, cede il passo all’editore, continuando comunque ad essere una presenza determinante nell’ambiente siciliano, promuovendo giovani talenti fotografi attraverso la sua casa editrice. All’inizio  del 2006, a sorpresa,  accetta con spirito di sfida, la richiesta da parte del settimanale “Lo Specchio” del quotidiano “La Stampa”, di un servizio sullo Zen, quartiere emblematico delle contraddizioni di Palermo.

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