Cina, ottobre 2020. Sembra passata una vita da quando il 23 gennaio arrivava l’annuncio ufficiale del lockdown dell’intera città di Wuhan: 13 milioni di abitanti chiusi in casa per la presenza di un virus sconosciuto e letale, il Covid-19. Sembra passata una vita e invece è stato solo nove mesi fa. Nove mesi lunghissimi, intensi, un tempo infinito senza “una data di scadenza”. Nel Paese in cui le mascherine si portavano per moda, per coprirsi dal freddo e per il raffreddore, si sono ritrovati ad indossarle come un capo necessario: metto la maglietta, i pantaloni e la mascherina.

Sono partiti in ritardo per i loro standard, ma sono riusciti ad azzerare. Se prima il virus stava inseguendo la popolazione, ora è la Cina che gli dà la caccia

LE TAPPE DELLA BATTAGLIA. Sono partiti in ritardo, in ritardissimo per lo standard cinese, nella guerra al virus ma, come ogni cosa che accade in Cina, sono riusciti ad azzerare in ritardo, se prima il virus stava inseguendo la popolazione ora è la Cina che gli dà la caccia: tra l’11 e il 17 maggio a Wuhan sono stati effettuati 1.5 milioni di test acido nucleico, il 12 ottobre a Qingdao sono stati registrati 6 nuovi casi locali dopo 56 giorni senza un singolo caso indigeno, hanno chiuso la città e in 5 giorni testato 9 milioni di abitanti. Senza colpo ferire. Ad inizio ottobre c’è stata la Golden Week (per commemorare la nascita della Repubblica cinese) e a studenti, insegnanti e personale governativo sono stati vietati i viaggi, per evitare nuovi contagi. E poi è arrivato il vaccino “pilota”, due iniezioni in 14-28 giorni, disponibile solo in alcune zone della Cina su prenotazione (le iniezioni non sono ancora cominciate, le case farmaceutiche hanno parlato di inizio novembre) e solo per i lavoratori essenziali (come medici e infermieri) e per persone che devono recarsi urgentemente all’estero per lavoro o per studio, successivamente, quando l’ultimo stadio di prova del vaccino sarà completato, sarà disponibile per tutte le persone dai 18 ai 59 anni al costo di circa 50 euro. 

Qualche settimana fa a Guangzhou i cittadini hanno ricominciato ad indossare la mascherina anche in bicicletta, senza che nessuna legge lo prevedesse

PREVENIRE È MEGLIO CHE CURARE. Ma non è stato solo il governo cinese a dichiarare guerra al virus, anche la popolazione, autoctona e no, l’ha fatto. Qualche settimana fa a Guangzhou ci sono stati dei casi all’interno di un condominio, immediatamente i cittadini hanno ricominciato ad indossare la mascherina anche per andare in bicicletta, senza che alcuna legge lo prevedesse. I cinesi e noi stranieri che abitiamo in Oriente siamo stati più bravi? Sì, lo siamo stati, ma questo non significa che anche qui non ci siano stati i casi a febbraio di persone incoscienti in giro, di insegnanti partiti per la Golden week grazie alla copertura dei propri capi, di persone di Wuhan scappate durante il lockdown nei bagagliai delle automobili. Tutto il mondo, insomma, è paese.

Andiamo al lavoro, al ristorante, in discoteca, in giro con gli amici e nei musei. Siamo pure tornati al cinema. L’unica cosa che non è tornata normale è l’empatia per il diverso

NORMALITÀ RITROVATA. Tutte le misure, la coscienza della presenza di un virus letale e l’ombra imponente del ricordo della Sars hanno cambiato il modo di vivere delle persone ma oggi, a nove mesi di distanza, la consapevolezza che la situazione è migliorata è palpabile in ogni luogo, dalla vita personale a quella lavorativa. La gente ha ricominciato a spendere, il consumo di Internet è tornato quello pre-Covid, le aziende hanno ricominciato a lavorare e a produrre, i prezzi degli affitti delle case hanno ricominciato a crescere, la paura è diminuita. Andiamo al lavoro, al ristorante, in discoteca, in giro con gli amici e nei musei. Siamo pure finalmente tornati al cinema. L’unica cosa che non è tornata normale è l’empatia per il diverso. Purtroppo, ancora, dopo mesi, ci sono alcuni hotel, strutture turistiche e anche discoteche, in diverse città della Cina, che non permettono l’ingresso agli stranieri per via del Covid. Non esiste una legge che lo vieti, semplicemente, come in tutto il resto del mondo, questo virus invece di renderci migliori ci ha reso più razzisti. Ad agosto a Changsha, all’ingresso di diverse discoteche, i buttafuori mi hanno detto che gli stranieri sarebbero potuti entrare soltanto con un test del Covid negativo. A Guangzhou, per prenotare un hotel a settembre, ho dovuto usare un sito straniero per essere sicura di essere accettata in hotel. In Yunnan, questo mese, un’amica cinese ha acquistato un tour di nove giorni che non poteva essere venduto agli stranieri. Tutto il mondo è paese, ancora una volta.

In Cina siamo sicuri di questo: se ci dovesse essere di nuovo un reale pericolo ci richiuderemmo tutti a casa senza lamentarci, senza fare manifestazioni contro le mascherine e senza parlare di “dittatura sanitaria”

IL PRIMATO DELLA VITA. Spesso tante persone mi chiedono perché al di fuori della Cina è arrivata la nuova ondata mentre qui ci possiamo permettere di tornare alla vita normale, addirittura di avere l’unica Fashion Week offline del 2020 di tutto il mondo. Io non sono medico, quindi le uniche risposte che posso dare sono i dati e le esperienze vissute. Siamo sicuri di qualcosa in Cina, se ci dovesse essere di nuovo un reale pericolo ci richiuderemmo tutti a casa senza lamentarci, senza fare manifestazioni contro le mascherine e senza parlare di “dittatura sanitaria”. Credete che la ragione di tutto ciò sia il non amore per la libertà o la democrazia? No, è perché abbiamo la consapevolezza del virus e la certezza che, per tornare alla vita normale, questo virus deve essere sconfitto. Perché se no “andrà tutto bene” resterà solo una frase bella ma priva di significato, mentre verremo ricordati nei libri di storia come gli stupidi che invece di pensare di salvarsi la vita hanno pensato di indossare un giubbotto arancione e bruciare una mascherina. 

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