La recente foto, divenuta virale, ha fatto accendere i riflettori dell’opinione pubblica sul lavoro incessante degli scienziati e sulle ricadute delle loro scoperte. A proposito di ciò, e del rapporto di queste ricerche col nostro quotidiano, abbiamo parlato col professore Francesco Priolo, direttore del Dipartimento di Fisica e Astronomia “Ettore Majorana” dell’Università di Catania, nonché studioso di fama internazionale

Quasi tutti i giornali l’hanno definita “la foto del secolo”. La prima immagine di un “buco nero” ha recentemente fatto il giro del mondo e si è posta subito come un avvenimento destinato a figurare in tutti i libri di scienze e storia degli anni a venire. Eppure nei giorni scorsi non sono mancati commenti scettici, che puntano il dito sulla presunta inutilità di questo risultato. Del resto, condividere l’entusiasmo di uno scienziato non è sempre immediato per un “comune mortale”. A renderci maggiormente empatici col team riuscito nell’impresa è stata la foto di una ricercatrice ventinovenne, Katie Bouman, visibilmente emozionata di fronte all’immagine che si palesava sul suo monitor. Ma cosa significa per uno scienziato riuscire a portare a casa un risultato del genere? E in che modo il lavoro degli studiosi di fisica e astronomia interessa il nostro quotidiano? Quali opportunità ci sono in questo settore per chi sceglie di restare in Sicilia? Di questi e altri argomenti abbiamo discusso con il prof. Francesco Priolo, direttore del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Catania, presidente del Distretto Tecnologico Sicilia Micro e Nano Sistemi e della Scuola Superiore di Catania.

black hole
Il buco nero supermassiccio al centro di Messier 87. © The Event Horizon Telescope

Professor Priolo, cosa ci dice il risultato di questa ricerca, di cui tanto abbiamo sentito parlare?
«Sebbene Einstein avesse previsto una parte di universo in cui si trovano dei buchi neri, essa è stata finora impossibile da vedere poiché la materia, luce compresa, viene catturata all’interno di questi ultimi. Ciò che mostra quest’immagine è il cosiddetto “orizzonte degli eventi”, ovvero quella zona che orbita intorno a un buco nero in cui si trovano alcune onde che riescono a “scapparvi”. Catturare in un’immagine questa sottile “corona di radiofrequenze” è stato difficilissimo e per farlo è stato necessario impiegare radiotelescopi grandi quanto tutta la Terra. Uno sforzo enorme per scoprire qualcosa che serve innanzitutto alla mente dell’uomo. Del resto, siamo navigatori in un universo immenso».

Un aspetto su cui molti si sono soffermati è la somiglianza di quest’immagine con le simulazioni che sono state realizzate in precedenza. Perché è così importante?
«Significa due cose: innanzitutto che la ricerca oggi dev’essere interdisciplinare. In questo caso sono state necessarie competenze di astrofisica, ma anche gli informatici hanno lavorato moltissimo per elaborare un enorme numero di dati. In secondo luogo, la somiglianza di quanto è stato osservato con ciò che era stato simulato e predetto ci dice, ancora una volta, che la teoria della relatività generale costruita da Einstein agli inizi del ’900 sia totalmente esatta».

Katie Bouman emozionata
L’emozione della ricercatrice Katie Bouman di fronte alla prima immagine del Buco Nero

In questo senso, quanto i grandi scienziati del passato hanno ancora da dirci?
«Moltissimo. Il Dipartimento di Fisica e Astronomia che dirigo è intitolato a Ettore Majorana, il grande scienziato catanese scomparso in situazioni non chiare. La sua eredità è talmente importante che ancora oggi moltissime ricerche si basano sulle sue proposte. Pensi che la rivista Nature Physics ha intitolato un suo editoriale “Majorana returns” prendendo le mosse dalle sue scoperte sulla fisica dei neutrini».

Nell’immaginario collettivo quando si pensa alla fisica teorica s’immagina qualcosa di assolutamente distante dal nostro quotidiano. È un falso mito?
«No, non lo è, ma in questo senso ci tengo a non distinguere fisica fondamentale e applicata. Einstein vinse il premio Nobel per la scoperta del fotone, ma ci sono voluti oltre cinquant’anni prima che questa rivelazione si “traducesse” nella fabbricazione dei laser ed è passato ancora tanto altro tempo perché attraverso questi laser (con le fibre ottiche) si potesse avere Internet. Non sempre quando si scopre qualcosa, si riescono a immaginare le sue applicazioni, ma le ricerche scientifiche sono buone o cattive. Quelle buone, anche se relative alla fisica fondamentale, prima o poi ci fanno fare salti in avanti o avranno delle applicazioni pratiche. Gli scienziati di Catania hanno partecipato alle ricerche al Cern che hanno portato alla scoperta del bosone di Higgs. A cosa serve? Oggi nessuno saprebbe dirlo, ma ci aiuta nella comprensione di come è fatto il mondo. E poi, non tutto deve avere risvolti pratici: che applicazione ha una bella poesia? Eppure, nessuno si sognerebbe mai di dire che la poesia è inutile. Tantomeno io».

Che contesto troviamo a Catania nel campo della Fisica?
«A Catania è presente un network davvero importante: qui, oltre al Dipartimento che dirigo, sono presenti i Laboratori Nazionali del Sud (LNS) dell’INFN, l’Istituto per la microelettronica e microsistemi del CNR e l’osservatorio astronomico dell’INAF. Sul piano delle applicazioni pratiche, poi, la presenza in città di aziende come STMicroelectronics, Enel Green Power e 3Sun si traduce in grandi opportunità. Recentemente, ad esempio, si è molto parlato delle applicazioni del carburo di silicio sui dispositivi di potenza in ST, ebbene quel semiconduttore fu sviluppato e studiato vent’anni fa proprio da questo Dipartimento insieme al CNR».

Quali ricerche si svolgono oggi presso il suo Dipartimento?
«La ricerca del Dipartimento spazia in campi molto diversi tra loro. Ad esempio alcuni nostri scienziati lavorano all’osservatorio Pierre Auger, in Argentina, dove vengono misurati raggi cosmici che portano informazioni su ciò che avviene al di fuori della nostra galassia. Il mio gruppo di ricerca, invece, lavora molto sulle nanotecnologie e tra le implicazioni di una recente scoperta c’è la possibilità di misurare la “Proteina C reattiva” (molto utile come marker cardiologico, ndr) in concentrazioni mille volte più basse di quanto fatto finora. Insieme ai LNS, il Dipartimento collabora al progetto “KM3NeT”, il quale comporta la costruzione di un osservatorio sottomarino di neutrini sito a largo di Portopalo di Capo Passero».

Quali sono le prospettive per i ricercatori e i giovani che scelgono Fisica e Astronomia a Catania?
«Ci sono molte opportunità. Sul piano accademico, infatti, vantiamo parecchie
collaborazioni prestigiose e i nostri studenti più bravi hanno l’opportunità di fare ricerca qui come a Cambridge, ad Harvard, al Cern, passando dei periodi in questi centri d’eccellenza. Insomma, il campo è molto fertile: l’industria c’è, gli enti di ricerca ci sono e i fondi pure».

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