Interprete poliedrico, comincia con una piccola compagnia per poi fare il grande passo: lasciare il lavoro e seguire il sogno, una scelta che si è rivelata vincente. Dal teatro al cinema passando per il piccolo schermo, oggi è conosciuto e amato per le vie della sua terra

Incontro il catanese Enrico Guarneri in un locale di Riposto, alla fine delle vacanze che trascorre al mare con la famiglia. Si racconta fra un sorso di birra Messina e una forchettata di spaghetti, mentre di tanto in tanto inserisce storie che fanno ridere, cercando con lo sguardo la risata della moglie che, benché conosca ormai le sue battute, non gli nega mai un sorriso. È questo Guarneri, attore poliedrico dagli occhi aguzzi, uomo semplice e di cultura che ama la sua terra con i suoi artisti, che piace alla gente e ama farla emozionare. Geometra di giorno attore di sera, si licenzia dopo 20 anni per dedicarsi alla recitazione, coronando un sogno: fu subito chiaro allora che il suo posto era in scena. Consacrato alla benevolenza del pubblico con il personaggio Litterio, la sua carriera artistica lo vede interprete di pièces importanti e spazia dal grande al piccolo schermo, dove prossimamente lo vedremo nella serie tv più amata dai siciliani (e non solo), Il commissario Montalbano.

Com’è nata la partecipazione a Il commissario Montalbano e quando la vedremo in tv?
«I primi contatti risalgono a qualche anno fa: mi chiedevano di prender parte a delle puntate ma preferivo un ruolo fisso. Hanno pensato a me per la figura del questore: dopo la morte del caro e bravo Giacinto Ferro non se ne parlò più. Adesso hanno deciso di reintrodurla così io sarò il nuovo questore. Ho girato le scene a luglio e la puntata dovrebbe andare in onda a febbraio 2020. Sono lieto di prender parte a quella che è una finestra sulla Sicilia nel mondo».

Può darci qualche anticipazione?
«Posso dire che la grande novità è che il questore che io interpreto va d’accordo con Montalbano».

La sua fama comincia anni fa con un personaggio che lo ha fatto entrare nelle case della gente: Litterio Scalisi. Come nasce l’idea?
«Faccio teatro dal 1976 ma sono nato sposato, per cui ho sempre avuto esigenza di campare la famiglia. Lavoravo come geometra di cantiere dalle 7 fino alle 7.30 di sera, girando per la Sicilia; tornato, andavo alle prove che si prolungavano fino a mezzanotte e poi cenavo con quello che ormai era un pasto freddo. Non era una vita facile. Il mio impresario sentiva il desiderio-bisogno che nutrivo di poter vivere di solo teatro così un giorno mi disse che sarebbe stato più semplice se mi fossi inventato uno spettacolo, l’incasso lo avrebbe dovuto dividere solo con me. Allora mi sedetti e buttai giù il personaggio Litterio, con la sua parlata caratteristica per la quale mi ero ispirato a un amico originario di Randazzo: trovo quel siciliano gallico molto dolce. Testavo i vari aneddoti la sera con gli amici finché non partecipai a uno spettacolo a Zafferana e vinsi un premio. Salvo La Rosa, che aveva presentato la serata, ne fu colpito e da lì cominciò la nostra collaborazione nella sua trasmissione. Feci una riunione di famiglia per decidere se fare quel passo: mi appoggiarono così lasciai il lavoro. Dopo 4 anni avevo già guadagnato quanto in 20».

Si può dire che Litterio rappresenta, alla stregua di Fantozzi, l’uomo medio siciliano?
«Lo immagino più come il proseguo di Giufà. Giufà è una maschera mediterranea, una comicità naïf. Mi viene in mente anche Pappagone, interpretato da quell’attore ciclopico che era Peppino de Filippo. Litterio è un sempliciotto che non ha malizia se non quella malizia talmente ingenua che non è malizia».

Vede un futuro per questo personaggio?
«No, adesso ho 65 anni e corro il rischio di diventare ridicolo. Ma a volte partecipo a qualche revival con Salvo La Rosa, la mia spalla, e il pubblico, che ci ama, ci riempie il cuore. Una signora mi ringraziò commossa perché quando la madre era ammalata riuscivano a fare un sorriso guardandoci ad “Insieme”».

Parliamo di teatro. Quale personaggio è stato più difficile vestire e quale le ha lasciato il segno più grande?
«Personaggi di opere molieriane come Il Malato immaginario, La scuola delle mogli, L’avaro, li ho calzati subito e la regia mi ha lasciato libero di interpretarli, anche nella lingua: mi piace l’italiano con inflessioni di slang siculo. Quando invece mi accostai a Mastro Don Gesualdo stavo sbagliando strada, pensavo che Gesualdo Motta potesse avere retropensieri. Invece il registra, Guglielmo Ferro, mi disse «Stai attento, non è Pirandello, è Verga». Gesualdo è un’animale, è una società fatta di animali, è il verismo in cui tutti sono contro tutti. Non c’è schermaglia, sono mazzate dirette, pietre; persino la cattiveria può non risultare tale perché si agisce per sopravvivere. È un personaggio che amo tantissimo».

Chi è l’attore oggi?
«Nell’Arte della commedia di Eduardo De Filippo il capocomico racconta che una volta gli capitò una pagina dal titolo Arti e mestieri e c’erano tutti, perfino l’arrotino. Tutti, tranne l’attore. Ecco, l’attore alla società è utile o no? L’attore è una persona di grande sensibilità che riesce a trasferire pensieri scritti da abili penne ad altre persone, filtrandoli con la propria emotività e sfruttando la tecnica appresa. Se non hai sensibilità puoi essere un fine dicitore ma non arriva niente del tuo lavoro, sei un trombone. È come se ognuno di noi avesse nel petto un orticello. C’è chi lo ha sempre arato e quindi è fertile, germogliano erbe, fiori, emozioni. C’è chi non lo ha mai sfiorato e la terra è talmente dura ormai che non attecchisce più nulla. L’attore sensibile, che si pone domande, innaffia l’orto. L’attore che è solo diaframma e voce, lasci perdere: il teatro è un’altra cosa. Serve poi tanta esperienza: come uno spettacolo può dirsi compiuto dopo la quinta/sesta replica, così l’attore è tale dopo i quarant’anni. Un attore giovane è un attore che verrà, mi disse un maestro di teatro. U teatru è difficili».

Quando tornerà in scena?
«Presto. Aprirò la stagione 2019-2020 al Teatro ABC, con Mastro Don Gesualdo, dove proseguirò con L’aria del continente. Ma sarò in giro anche per altre rappresentazioni».

Enrico Guarneri sarà in scena al Teatro ABC di Catania con “Mastro Don Gesualdo” di Giovanni Verga (regia Guglielmo Ferro) nei giorni 2, 3, 8, 9 e 10 novembre. 

Il nostro impegno è offrire contenuti autorevoli e privi di pubblicità invasiva. Sei un lettore abituale del Sicilian Post? Sostienilo!

Print Friendly, PDF & Email