«Il pubblico teatrale va svanendo e gli spettacoli sembrano ormai essersi trasformati in feste degli addetti al settore. Con i nostri spettacoli cerchiamo di rieducare lo spettatore alla curiosità e coinvolgerlo in ciò che l’arte vuole comunicare»

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]D[/dropcap]efinire il progetto “Vucciria Teatro” non è semplice. Senza dubbio uno dei nostri punti di forza è l’uso del dialetto, che mi ha aiutato a riscoprire alcune verità da sempre insite in me, ma il vero protagonista nei nostri spettacoli è il corpo, che agisce e suda in scena perché proiettato in un’azione spesso autonoma e scissa dalle parole. La forza di questi lavori risiede proprio in questo contrappunto, in un’ambivalenza che permette la trasmutazione delle emozioni dal personaggio al pubblico».

Quando gli si chiede di parlare della sua idea di teatro e dello stato dell’arte in Sicilia, la reazione di Enrico Sortino è un misto di orgoglio, sacrificio e frustrazione. L’attore, considerato oggi uno dei più interessanti performer nazionali, vive ormai da quattordici anni a Roma, ma è qui a Catania, dove si è formato, che ha deciso di investire, aprendo la prima sede dell’Accademia Internazionale del Musical (che oggi vanta sei sedi sparse per l’Italia) e iniziando la collaborazione con il regista e attore Joele Anastasi. «La compagnia “Vucciria” – spiega ancora – nasce da una scommessa che si è rivelata vincente, quella di coinvolgere il pubblico in modo nuovo. Ho visto con i miei occhi spettatori inchiodati alle poltrone, rivivere le emozioni dei personaggi in scena, per cui sono certo che una rinascita sia possibile».

Testi come “Io mai niente con nessuno avevo fatto” hanno consentito all’attore di calcare palcoscenici importanti in tutta Europa, come quello del “Piccolo Teatro” di Milano, ma il suo resta legato al capoluogo etneo. «Ho lasciato Catania nel 2003, quando ultimata la mia formazione, mi resi conto che la realtà cittadina m’impediva di crescere. Del resto qui, se non provieni da una famiglia d’arte il primo ostacolo può essere l’assenza di una guida che t’immetta sulla retta via. A Roma ho iniziato prendendo parte ad “Amici”, ma ben presto ho iniziato a pensare che avrei dovuto fare qualcosa nella mia città». Ed è proprio dalle difficoltà vissute personalmente che nasce in lui l’idea di fondare a Catania l’Accademia del Musical «per dare la possibilità a chi non può o non vuole allontanarsi dalla propria terra di ricevere comunque una formazione artistica dignitosa e di alta professionalità. Io non sono scappato dalla mia terra, semmai me ne sono allontanato ma per tornarci spesso e reinvestire tutto ciò che ho appreso. Se in Sicilia vogliamo perseguire un’idea più alta di teatro bisogna viaggiare ed entrare in contatto con esperienze nuove, è necessario maturare sentimenti di rivalsa». Purtroppo oggi le prospettive presenti non sono certo rosee. «La situazione è peggiorata – spiega ancora – poiché ci si affanna per sopravvivere laddove prima ci si affannava per creare. Le cause possono essere individuate in parte nelle recessione economica che ha aggravato una situazione già critica, ma anche nell’atteggiamento accomodante di chi non rischia più ma si adatta».

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Secondo Enrico Sortino questa profonda crisi, che non è solo siciliana, può essere superata attraverso un’azione pedagogica: «Il pubblico andrebbe ri-educato specialmente quello giovanile perché se è vero che questo occupa sempre meno le platee, é anche vero che i motivi sono sotto gli occhi di tutti: come tutti i linguaggi artistici anche quello teatrale cambia e si evolve. Si va a teatro per esorcizzare le esperienze e per identificarsi con le vicende dei personaggi, ma se le nuove generazioni non si sentono coinvolte, non conoscono il linguaggio e non lo capiscono le cause non risiedono solo nella degenerazione culturale».

Enrico Sortino, al momento è impegnato nello spettacolo “Immacolata Concezione”, vincitore di Teatri del Sacro V, che debutterà a giugno ad Ascoli Piceno e che forse l’anno prossimo giungerà anche a Catania. In ogni obiettivo raggiunto, afferma: «c’è caparbietà, ambizione e sacrificio, come in ogni siciliano, perché essere isolani forgia l’identità, significa superare lo stretto e oltrepassare il mare».

 

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