Il futuro dei giornali sembra sempre più orientato sul web, mentre la carta appare inesorabilmente indietreggiare. Ma davvero il domani è già scritto e prevede una guerra fra i due mondi? Secondo Riccardo Terzi, rappresentante del colosso informatico, i segreti si chiamano collaborazione e specificità. E coraggio di sperimentare

Da un lato i giornali di carta con la loro autorità di lungo corso; dall’altro il digitale con i suoi tempi ridottissimi e le sue innovative modalità di comunicazione. Due mondi lontani, che spesso e volentieri non hanno nascosto di guardarsi in cagnesco, specie da quando il web ha assunto il ruolo di guida nell’ambito dell’informazione. Ma, a dispetto di quella che sembra una lotta destinata a designare un solo vincitore, è possibile immaginare un futuro in cui questi piani si riscoprano inaspettatamente vicini, fino al punto da instaurare una fruttuosa collaborazione? Sebbene la gran parte degli editori – specie i cosiddetti big players – non possa fare a meno di ammettere di non aver ancora trovato la soluzione a questo dilemma, qualcuno si mostra ben più ottimista: «Quando mi chiedono se esiste un futuro per i giornali, la mia risposta è assolutamente positiva». È questo il convinto credo di Riccardo Terzi, Head of News and Publisher per Google, che fa del cucire solidi rapporti tra il gigante dell’innovazione e il mondo dell’editoria la sua attività principale, che in occasione della conferenza di chiusura del workshop internazionale “Il giornalismo che verrà” ha tracciato la strada maestra verso il futuro di questa professione: «Google è un fenomeno complesso – afferma – il simbolo della rivoluzione digitale degli ultimi 20 anni. Quando nacque, il suo scopo era rendere l’informazione accessibile a tutti nel modo più strutturato possibile. Da sempre, quindi, miriamo ad un rapporto di sinergia, ma non c’è dubbio che nell’era dell’ecosistema digitale qualcosa va cambiato».

SE NON PUOI BATTERLI… Che una rivalutazione della concezione odierna del fare giornalismo sia necessaria non è un mistero, ma il contenuto di questa rivoluzione, ai più, appare abbastanza nebuloso. «L’equilibrio tra queste due anime del giornalismo – spiega Terzi – è delicato e una formula definitiva può essere trovata solo attraverso forme di collaborazione. Ai giornalisti tocca la responsabilità di proporre contenuti vincenti, all’algoritmo il compito di valorizzarli». Se a proposito della prima esigenza i professionisti dell’informazione si arrovellano da generazioni in cerca di spunti sempre originali e validi, non altrettanto si può affermare per il rapporto con le tecniche di ottimizzazione sulla rete, che tante volte rimangono estranee o vengono ritenute poco pertinenti rispetto all’attività giornalistica tradizionale. Ma proprio in questa direzione punta il monito del rappresentante di Google: «Il futuro che ci aspetta richiederà grande commistione di mezzi, e un’offerta capace di soddisfare lettori con preferenze diverse».

Riccardo Terzi

MA IL DIGITALE NON RIDE. Fino a qui, tutto sembrerebbe lineare e di facile applicazione. Ma quando alla nostra attenzione si sottopone il dato sconfortante per cui i ricavi del digitale appaiono talvolta irrisori, o comunque non sufficienti a compensare le perdite dovute al crollo delle vendite cartacee, l’equazione tra gettarsi a capofitto nel web e il successo garantito viene pericolosamente meno. Non sarà che anche i nuovi media richiedono accorgimenti particolari da seguire? «Negli ultimi anni – conferma Terzi – Google ha ritenuto di poter avere voce in capitolo sui ricavi che provengono dal digitale e di poter fare da supporto, ma ciò può verificarsi solo se l’editore digitale sa dialogare ed esprimere chiaramente i suoi bisogni». In questa prospettiva vanno letti gli interventi del colosso informatico volti a promuovere la conoscenza di alcune aree strategiche come pubblicità o abbonamenti digitali, o ancora sul ruolo che una lungimirante innovazione può svolgere: «È importante – illustra – come una redazione faccia uso della tecnologia per il suo storytelling: Intelligenza Artificiale, video, realtà aumentata, sfruttamento dei dispositivi mobili sono tutti elementi interessanti su cui poter investire». Senza dimenticare la necessaria varietà dell’informazione, perché, come ricorda l’ospite, «troppo spesso sul digitale ci si imbatte in contenuti troppo simili e, se si vogliono ottenere risultati economici, bisogna saper offrire qualcosa di più specifico».

CONOSCI IL TUO LETTORE COME TE STESSO. Nel mondo globalizzato in cui viviamo, offrire un esempio concreto di specificità significa ridare importanza all’informazione locale e alla sua vivacità che, del resto, dalle reti che il web è in grado di instaurare può trarre grandi benefici. Ma questo, da solo, non basta: «La conoscenza che, ad esempio, un’azienda che si occupa di e-commerce possiede rispetto alle abitudini e ai gusti dei suoi utenti – chiarisce Terzi – è infinitamente più grande e precisa rispetto a quella che gli editori hanno dei propri lettori. Si commette il grande errore di proporre sulla carta ciò che viene pensato per il digitale, e viceversa, oppure il dialogo tra le due realtà non è proficuo, o ancora i processi decisionali non arrivano al vertice». Il quadro prospettato dal dirigente di Google, in verità, auspica un vero e proprio ribaltamento di pensiero, che in Italia, dove l’inclinazione a sperimentare è meno pronunciata che in altri Paesi, fatica ancora ad imporsi: «Spesso gli editori – chiosa Terzi – non sperimentano perché non sono informati a dovere su tutte le possibilità che potrebbero mettere sul tavolo. Il futuro passa dalla qualità, con tutte le difficoltà del caso, ma esempi come Fanpage, uno dei pochi casi di startup giornalistica digitale che produce utili, dimostra che questa strada è sostenibile e produce lavoro». Che sia carta o digitale, insomma, il segreto è sapersi spingere più in là di quanto sembri sia fattibile: «La base è accettare il cambiamento culturale. Ogni cosa deve partire da qui».


L’intervento di Riccardo Terzi ha fatto parte del più ampio incontro “Giornalismo: innovazione e territorio”, integrato nelle attività del workshop internazionale “Il giornalismo che verrà” promosso dal Sicilian Post e dalla Fondazione Dse presso la Scuola Superiore di Catania, in cui si sono confrontati anche, moderati dal presidente del comitato scientifico della Fondazione Dse Giuseppe Di Fazio, Antonello Piraneo, direttore de “La Sicilia”, e Guido Tiberga, caporedattore macrodesk “Cronache” de “La Stampa”. Hanno portato i loro saluti il presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci, il sindaco di Catania Salvo Pogliese, il Magnifico Rettore dell’Ateneo catanese Francesco Priolo, Domenico Ciancio Sanfilippo e la coordinatrice delle classi della Scuola SSC Lina Scalisi.

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