Enzo Gentile: «Com’è triste l’estate italiana senza le canzoni di una volta»
L’Italia popolo di santi, poeti e navigatori… e di cantanti venne aggiunto poco dopo la morte di colui che coniò quella definizione. E due erano i momenti topici che trasformavano gli italiani in un popolo di canterini: il Festival di Sanremo, le cui canzoni venivano fischiettate sotto la doccia (nel 1954, con la gara canora a far da binario delle suggestioni popolari, in Siae vennero depositate oltre 17mila nuove canzoni), e il jukebox delle vacanze a mare. Al quale in un secondo tempo avrebbero dato materiale manifestazioni musicali come il Cantagiro, Un disco per l’estate, Festivalbar. Due fenomeni anomali, che si registrano solo nel nostro Paese. Se il Festival è, fatta l’eccezione cilena di Viña del Mar, una tipicità dell’Italia, come il panettone o il cannolo, l’estate però è in tutto il mondo.
«In Italia abbiamo una condizione molto particolare su tante cose e così anche sulla musica e sull’estate. È vero che l’estate esiste in tutto il mondo, ma il fenomeno dei tormentoni estivi, che anche quest’anno è imperioso, è una caratteristica dell’Italia». A parlare è Enzo Gentile, giornalista musicale, enciclopedia vivente della storia del rock e del pop che insegna alla Cattolica di Milano, autore di innumerevoli pubblicazioni sulla musica e i suoi protagonisti, ultima delle quali Onda su Onda. Storie e canzoni nell’estate degli italiani (Zolfo editore, milanese d’origine siciliana), presentata negli scorsi giorni nel dehors della Pasticceria Neri a Siracusa. Nel libro vengono ripercorsi sessant’anni di storia del costume e della canzone da spiaggia e ombrellone: «Una storia insieme privata e collettiva», scrive l’autore. «Il panorama di un’educazione sentimentale che ha i confini mobili dell’esperienza impastata con le suggestioni dell’adolescenza; la tensione della scoperta e il desiderio di governare un patrimonio intimo, ma comune a molti di noi». Il volume, corredato di foto d’epoca, è ricco di testimonianze di protagonisti delle nostre estati, di autori di “tormentoni”, perché in tanti – compresi anche insospettabili – hanno scritto almeno una canzone balneare.
«È una storia che nasce sessant’anni fa», riprende Gentile. «Dal 1960 cominciano ad apparire sul mercato discografico canzoni che hanno una caratteristica estiva: preludono al ballo, alla convivialità, all’allegria, a una dimensione capace di abbracciare le persone in un momento di riposo, di svago, di amori estivi. Questo “stacco” estivo in altri Paesi non c’è, basti pensare che in Italia i cinema d’estate sono chiusi, così i teatri, il calcio viene sospeso… Tutto questo all’estero non vede una separazione. Questa è una delle ragioni per cui le canzoni trovano più spazio. Se uno accende il televisore in questo periodo trova repliche, telefilm, nessuna nuova produzione. La musica, oggi attraverso anche i canali digitali, può continuare a esistere. Fenomeno sconosciuto all’estero, come nel libro mi confermano Mal e Shel Shapiro. In Inghilterra i dischi continuano a essere pubblicati in estate ma non hanno il connotato dell’abbronzatura, nei Paesi anglosassoni e un po’ in tutto il mondo un film blockbuster esce in luglio o agosto, da noi si aspetta rigorosamente settembre inoltrato».
Sessant’anni dopo, però l’italiano appare meno canterino. Da tempo nessuna canzone si fischietta sotto la doccia al termine di Sanremo, il jukebox è scomparso e Cantagiro, Disco per l’estate, Festivalbar non ci sono più. Le canzoni estive si dimenticano dopo settembre. Agli italiani non piace più cantare? Forse perché, come scrive Gentile, «il mare con le mucillagini e il chiringuito sulla spiaggia, le ferie sempre più corte e i weekend brevi, tutti imbottigliati sulle strade, con i bagnini che intristiscono: ci vuol poco ad affossare anche le migliori intenzioni, e così la colonna sonora dell’estate, le canzoni di una volta, non ci sono più».
«Si è persa anche l’innocenza, la genuinità, di una volta», constata con un velo di amarezza Gentile. «Adesso esistono team di lavoro che hanno già programmato per l’anno prossimo alcuni brani. Takagi & Ketra me lo dicono nell’intervista. Loro hanno dei riff o una intuizione a cui manca il titolo. Il titolo Roma-Bangkok è un bel titolo, l’avessero chiamato “Torna da te” magari era meno efficace. Oppure Amore e Capoeira che cosa c’entra con la canzone? Niente. Però è un titolo efficace. E ci sono tanti di questi esempi che vedono la scelta del titolo a prescindere dalla canzone, dal testo. Una ritualità da qualche anno presente sulla scena italiana è quella dei duetti. L’anno scorso Fedez e J-Ax, quest’anno sono in tre Fedez-Achille Lauro-Orietta Berti, oppure Ornella Vanoni-Colapesce-Dimartino. Si cerca di creare una notizia. Canzoni come Una rotonda sul mare e Sapore di sale le ascoltiamo da sessant’anni, io escluderei che i brani di Fedez o Achille Lauro nel 2080 li sentiremo ancora».
Tu parli dei cantanti di oggi come «artisti di cui, mentre li vedi, si stanno già perdendo le tracce». Tuttavia, anche nel passato, ci sono state meteore, il cui nome si è legato a una sola canzone: Piero Focaccia, Dino, Gianni Pettenati…
«Si sono persi loro, non le loro canzoni. Stessa spiaggia stesso mare è famosa ancora oggi. Lisa dagli occhi blu di Mario Tessuto o Bandiera gialla di Pettenati se le ricordano tutti. Il bello di questi personaggi, gran parte dei quali ho risentito per il libro, è che, pur avendo avuto un momento di grande successo, non si sono montati la testa, hanno capito che erano stati dei miracolati».
Nel libro arrivi fino al 2020, se dovessi aggiungere il capitolo su quest’anno cosa scriveresti?
«Beh, che tutto è molto conseguente rispetto all’anno precedente. Questo è un anno, come il 2020, in cui le vacanze sono state attraversate dai problemi della pandemia: il Covid, i green pass, i tamponi. Sono vacanze un po’ più laboriose, sofferte. Eppure, le canzoni non sono mancate. Passeggiavo per Ortigia in questi giorni ed ho ascoltato molte delle canzoni pubblicate per accompagnare quest’estate. Si tende a fare brani molto ballabili, anche se poi non si può ballare perché le discoteche sono chiuse. È curioso: negli anni in cui l’aggregazione è vietata, si fanno canzoni che invece porterebbero agli assembramenti. Un sociologo potrebbe pensare a un contrappasso: quello che non si può fare viene suggerito attraverso le canzoni. Secondo me, rimarrà poco delle canzoni di quest’anno. Le canzoni dell’anno scorso già non le ricordiamo. Sono canzoni che evaporano. Lisa dagli occhi blu o Piccola Katy sono molto più forti del maggior successo dell’anno scorso. Indubbiamente, e non per nostalgia. Ma perché l’intuizione di quell’epoca non era omologata, cosa che invece oggi lo è abbastanza».
Se facessimo il gioco delle top 100 di Rolling Stone, quale sarebbe la regina nella storia delle canzoni estive?
«Ne avrei diverse. Certamente tra le primissime, sul podio, metterei Estate di Bruno Martino. Che è tutto tranne che una canzone “tormentone”, lo diventa dopo, come si trasforma pure in uno standard del jazz. Fra le canzoni frivole mi diverte molto il repertorio di Edoardo Vianello, non è tra i miei favoriti, però trovo che Abbronzatissima sia un brano geniale nella sua costruzione: dietro quegli arrangiamenti, non dimentichiamolo, c’era la mano di Ennio Morricone. Un’altra canzone formidabile è Guarda che luna: Fred Buscaglione lo registrò nel novembre del 1959, poi lui muore in un incidente stradale nel febbraio del 1960 e non fa in tempo a vedere il successo di quel brano. Tutti brani che non scadono nel tempo e che si continuano ad ascoltare ancora oggi».