«Se dovessi spiegare a un non addetto ai lavori cos’è una partitura musicale direi che è una bellissima pianta che accoglie tanti fiori colorati, che rappresentano i vari timbri degli strumenti. Direi che la musica è un essere vivo che ha come condizione essenziale quella di essere amata per continuare ad esistere. Solo amandola si può scoprire la sua potenza». Usa questa semplice metafora per descrivere il suo mondo artistico Marco Betta, compositore nato ad Enna nel 1964, appena nominato Sovrintendente del Teatro Massimo Vittorio Emanuele di Palermo, chiamato a rivestire un doppio ruolo nel terzo teatro d’Opera più grande d’Europa.

Già Direttore Artistico, dallo scorso gennaio, e prima ancora Consulente della riprogrammazione artistica, sempre per il Massimo, da poche settimane ricopre il ruolo lasciato vacante da Francesco Giambrone chiamato all’Opera di Roma. «Non mi aspettavo minimamente – ci ha raccontato Betta prima dell’ultima replica de Les Vêpres siciliennes opera che ha aperto la Stagione 2022 – che mi venisse proposto questo ruolo che, per il preciso momento storico in cui viviamo, mi investe di maggiori responsabilità verso i lavoratori del teatro e soprattutto verso il pubblico sia in termini di sicurezza che in termini di proposta culturale. Si, all’inizio non ci ho dormito la notte (ci dice sorridendo sotto la mascherina) ma poi il lavoro mi ha richiamato alle mie responsabilità».

Tra oneri e onori Marco Betta continua a considerarsi prima di tutto uno “spettatore” oltre che un tecnico della musica, circostanze che lo spingono a tenere sempre ben presente la funzione che un teatro d’Opera, ma soprattutto l’arte in generale, devono avere. «Questo nostro tempo ci ha resi più responsabili perché ci ha imposto una vicinanza forzata alla sofferenza del prossimo, generando una presa di coscienza del contributo che ciascuno di noi, nel proprio ambito, è chiamato a dare. Ci siamo trovati, e lo siamo ancora, nel mezzo di una tempesta, il teatro è luogo per eccellenza di identità di un popolo, di una nazione. La sua vitalità coincide con l’anima della società, richiamando a sua volta, attraverso le opere messe in scena, i valori identitari che i grandi compositori della storia italiana ci hanno lasciato. È in questo senso, a mio avviso, che i teatri devono considerarsi centri di formazione dell’identità civile, non sono musei, sono luoghi sacri dove le idee si propagano e dove si custodisce l’anima  collettiva del domani».

La nuova stagione del Teatro Massimo si è aperta come dicevamo, con la versione francese dell’opera poco rappresentata di Verdi per la regia di Emma Dante, primo appuntamento di una programmazione che il neo Sovrintendente si è trovato in mano nel passaggio del testimone alla quale, comunque, aveva collaborato nella sua definizione in qualità di direttore artistico. «Questa stagione segna alcune ricorrenze importanti che abbiamo voluto omaggiare,  ovvero il trentennale delle stragi di mafia e i 25 anni dalla riapertura del Massimo, e contiene una serie di linee direzionali definite dalla scelta di opere che raccontano, a vario titolo, il nostro tempo come i “Vespri”, appunto, alcune delle quali antichissime altre più contemporanee. Le Opere superano il tempo cronologico e sono, secondo me, come delle isole di un grande arcipelago, ognuna una tappa di un cammino».

E Betta non ha dubbi sul percorso da seguire qualora il prossimo sindaco che verrà eletto a Palermo fra qualche mese dovesse confermarlo nel ruolo di Sovrintendente. «Come ho già detto rimetterò il mio mandato, senza alcun problema, nelle mani di chi prenderà il posto del sindaco uscente; qualora venissi riconfermato le linee guida delle prossime stagioni seguirebbero l’idea di un “teatro in cammino”, in crescita continua in termini individuali, con progetti rivolti ai giovani e anche ai giovanissimi, proseguendo così come è già stato fatto il coinvolgimento delle scuole. La mia visione anche un po’ utopistica è quella di un teatro senza generazioni di pubblico,  fruito da tutti senza confini di età, un luogo dove si formerà quell’anima collettiva di cui parlavo prima».

Non dimenticando il ruolo istituzionale Betta, che vanta un curriculum di tutto rispetto avendo esordito come compositore nel 1982 (la sua musica viene eseguita e trasmessa in  paesi d’Europa, negli Stati Uniti, Canada, ex Unione Sovietica, Argentina e Brasile) e avendo ricevuto commissioni dai più importanti enti e festival nazionali di settore, tiene nel fantomatico “cassetto dei sogni” un obiettivo da raggiungere nella sua carriera. «Dico sempre che i compositori sono gli ultimi orologiai perché misurano il tempo come nessun altro, cercando sempre di superare i propri limiti e migliorando sé stessi. L’idea del cammino creativo, della continua sfida nella ricerca in primis e nella condivisione sono i miei motori creativi. Se c’è un obiettivo che vorrei raggiungere ma non so se sarò mai maturo abbastanza – ci dice con sincera umiltà – è quello di scrivere un Requiem; è un’impresa che mi spaventa anche perché per realizzarla bisogna penetrare nel senso sublime della morte. Non so se ne sarò mai all’altezza. Al momento mi dedico con totale impegno a questo nuovo incarico, investendo tutte le mie risorse umane e le competenze maturate affinché l’istituzione del teatro, in generale, torni a splendere dopo il buio dei mesi della pandemia. Me lo auguro come spettatore, come cittadino e come lavoratore».

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