Il merito, se vogliamo, è stato del francese Haroun Tazieff: «Mentre guardavo i suoi documentari sui vulcani più particolari del mondo, sono rimasta folgorata alla vista dell’Etna», ci racconta infatti Etna Saito quando ci colleghiamo con lei che risponde da Tokyo, per conoscere meglio la storia di una musicista giapponese che è rimasta per tanti decenni una delle figure più di spicco della vita culturale catanese.

«In quella fase giovanile della mia vita stavo attraversando una profonda crisi personale – continua –, dal momento che venivo bullizzata dai miei compagni di scuola e che intanto dovevo far fronte a una forma di rosolia congenita, meditando più di una volta il suicidio. Poi, grazie ai programmi di Tazieff, pioniere della divulgazione e fra i principali sostenitori dell’Istituto Vulcanologico di Catania, ho ritrovato una linfa nuova. La sua energia trapelava dallo schermo ed è diventata contagiosa, spingendomi a promettere a me stessa che prima o poi, nonostante i miei problemi, sarei riuscita a visitare l’Etna dal vivo. E così è stato».

IL POTERE DI UN TRAFILETTO DI GIORNALE. Suonatrice di lira e organo, nonché appassionata di vulcanologia fin da bambina, negli anni Ottanta Etna Saito riesce non a caso a viaggiare per l’Europa, visitando i vulcani islandesi e soprattutto ‘a muntagna, come viene spesso definita l’Etna dagli abitanti del capoluogo etneo. «Il mio sogno si è realizzato grazie a un articolo di giornale», ci svela a questo punto. «Sì, perché avevo provato a chiedere al direttore dell’Istituto italiano di Cultura in Giappone una corrispondenza con Catania, e lui aveva avuto l’idea di far pubblicare su La Sicilia un annuncio con il mio indirizzo postale. Si trattava di un trafiletto di poche righe, eppure a rispondermi sono stati ben settanta catanesi pronti a parlarmi con trasporto del loro vulcano». Lo stupore di Saito è stato grande, anche se forse è poi risultato ancora maggiore quello che la vide interagire durante i suoi viaggi con i celebri coniugi Katia e Maurice Krafft, i vulcanologi tragicamente scomparsi per via di una colata del monte Unzen, in Giappone, nel 1991. «Di loro serberò sempre un ricordo grato e prezioso – è il suo commento –, proprio come dello stesso Haroun Tazieff, che poi ho avuto il privilegio e la gioia di incontrare di persona».

«Sono rimasta grazie all’aiuto economico dell’istituto Ardizzone Gioeni e alla città di Catania, che mi ha accolta senza pregiudizi:
per questo nel 2004 ho voluto sposare simbolicamente il vulcano
che mi ha cambiato la vita»

LO SPOSALIZIO CON L’ETNA. Dopo queste esperienze forti e di spessore, negli anni Novanta Etna Saito opta per una scelta radicale: trasferirsi nella cittadina di Nicolosi, sul versante meridionale dell’Etna, in un momento in cui il valore dello yen sta precipitando: «All’epoca non avrei mai immaginato di restare in Sicilia per oltre diciotto anni, ma ancora una volta è stata la vita a decidere per me. A causa della crisi finanziaria, infatti, il Comune di Tokyo poco dopo ha smesso di rinnovare la mia pensione di invalidità ed è stato l’Istituto Ardizzone Gioeni, nel quale mi ero appena inserita come studentessa di Fisioterapia, ad aiutarmi concretamente. Anno dopo anno mi sono integrata nella vita locale con gratitudine e curiosità, sentendomi parte della vita catanese e arrivando, il 21 giugno del 2004, a compiere un gesto simbolico che ancora oggi a ripensarci mi sembra incredibile e meraviglioso al tempo stesso. Alla presenza di sette testimoni, sul bordo del cratere centrale, ho infatti “sposato” simbolicamente il vulcano che ha cambiato il mio destino, rendendo omaggio a modo mio a una città che mi ha accolta senza pregiudizi e che mi ha sempre aiutato a sentirmi a casa». Per pura coincidenza, lo stesso giorno di 9 anni dopo, l’Etna sarebbe diventata patrimonio UNESCO dell’umanità, a sole ventiquattr’ore di distanza dal monte Fuji.

Etna Saito | Ph. Orazio Valenti
Etna Saito | Ph. Orazio Valenti

DUE VULCANI LONTANI MA VICINI. «Questa coincidenza mi è sempre parsa molto significativa – commenta Saito – perché a conti fatti i due vulcani hanno numerosi elementi in comune. In primo luogo, dal punto di vista prettamente geografico, godono di un’area collinare e costiera simile. Al netto di ciò, entrambi hanno sempre suggerito suggestioni, leggende e tradizioni alle popolazioni che li hanno abitati – basti pensare che attorno al Fuji ancora oggi esistono dei templi di pellegrinaggio e di preghiera, e che i giapponesi credono profondamente alla sacralità di quelle aree. In ultimo, ma non per importanza, alle pendici del Fuji si sviluppa una provincia che mi ha sempre fatto pensare a quella di Catania: parliamo di Shizuoka, un luogo caratterizzato da golfi e porti, nonché da zone collinari in cui si producono le arance mikan, non così diverse da quelle rosse di Sicilia». Tutti elementi che hanno portato Etna Saito (il cui nome d’elezione è ispirato proprio al vulcano della nostra terra) a partecipare con entusiasmo a un progetto di gemellaggio internazionale fra il Fuji e l’Etna.

Ora che entrambi festeggiano i primi 10 anni dall’inserimento nella lista UNESCO, mi auguro che si possa tornare a parlare dell’argomento, visto che i due territori presentano diverse affinità e che trarrebbero tanti vantaggi da una collaborazione reciproca»

IL SOGNO DI UN GEMELLAGGIO INCOMPIUTO. «Ho sempre avuto l’impressione che si trattasse di un’iniziativa fondamentale», sono le sue parole al riguardo, «se consideriamo che due zone come queste potrebbero fare fronte comune nello studio di certi disastri naturali, oltre ad avviare un ricco scambio culturale, turistico e civile. Grazie all’impegno mio e di chi ha creduto alla nostra idea abbiamo messo in contatto il Parco dell’Etna con il Club Fujisan, particolarmente attivo nella salvaguardia del monte Fuji, ma alla fine non possiamo affermare di aver concretizzato effettivamente i nostri intenti. Il Comune di Tokyo, come pure quelli delle città limitrofe al Fuji, non si è interessato alla causa quanto avremmo sperato, e il gemellaggio è stato accantonato. Ora che entrambi i siti festeggiano i primi dieci anni dal loro inserimento nella lista UNESCO, nonostante il fatto che io intanto sia tornata a lavorare in pianta stabile in Giappone, mi auguro che si possa tornare a parlare dell’argomento, visto che i due territori presentano diverse affinità e che trarrebbero tanti vantaggi da una collaborazione reciproca». Ce lo confessa con una punta di malinconia, Etna Saito, facendo risuonare con urgenza le sue parole e spingendoci a credere a nostra volta in un rinnovo delle energie istituzionali, ispirato a una donna coraggiosa e determinata come lei, che proprio grazie al suo amore per i luoghi in cui ha abitato è riuscita a lasciare il segno.

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