Il giudice emerito della Corte costituzionale, che di recente ha pubblicato La Svolta. Dialoghi sulla politica che cambia, entra nel dibattito sui problemi più urgenti del momento offrendo preziosi spunti su come affrontare la disorientante complessità del mondo di oggi

Che fine ha fatto la competenza nel tempo del web? La “datacrazia” è il volto del domani? Che senso ha, oggi, “resistere“? Questi ed altri sono i temi di un dibattito che su queste pagine, come su quelle del nostro inserto “Sicilian Stories” su La Sicilia, ha coinvolto noi giovani giornalisti ed intellettuali come il sociologo di fama internazionale Derrick De Kerckhove e lo psicoanalista e scrittore Luigi Ballerini. Oggi, a prendere la parola, con un particolare sguardo sulla salute della nostra democrazia è Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale e professore alla School of government della Luiss, da poco reduce dalla pubblicazione del libro La Svolta. Dialoghi sulla politica che cambia (Il Mulino, 2019).

Professor Cassese, all’interno del suo volume lei sottolinea come se da un lato le forze populiste oggi al governo si appellino alla prima parte della nostra carta fondamentale (La sovranità appartiene al popolo), esse abbiano glissato sulla seconda (ovvero sul fatto che l’esercizio di questa sovranità debba essere concepito nelle forme e nei limiti della Costituzione). Ci troviamo di fronte a un’interpretazione distorta del concetto di democrazia, qui ridotto all’idea di “potere al popolo”?
«Distinguiamo. Democrazia non si esaurisce in potere del popolo, come sembra suggerire il termine. James Madison aveva chiaro questo concetto, così come l’aveva chiaro Alexis Tocqueville. Democrazia è anche separazione dei poteri, uno solo dei quali sotto controllo popolare (Rousseau lo chiarisce molto bene nel “Contratto sociale”). Democrazia è anche competizione per la conquista del consenso sociale (Schumpeter l’ha chiarito molto bene). Democrazia è anche rispetto della competenza e del merito (non a caso si può diventare magistrati e funzionari solo mediante concorso, cioè accertando il possesso di requisiti di merito). Democrazia è anche controllo reciproco dei poteri (Montesquieu voleva che i poteri fossero separati e che si impedissero reciprocamente). Democrazia, infine, è controllo periodico da parte del popolo, controllo che si esercita mediante approvazione di liste presentate da partiti o da altre forze politiche».

Sempre nel volume, lei contrappone anche alla “democrazia referendaria”, una più efficace “democrazia amministrativa”, di cosa si tratta?
«La democrazia amministrativa consiste nella consultazione degli interessati prima di prendere decisioni di interesse collettivo (cosiddette inchieste pubbliche)».

Parlando ancora della nostra Costituzione; lo scorso anno alla Scuola Superiore di Catania, nel contesto di una lezione sul depauperamento della cultura, il prof. Salvatore Settis ha citato l’articolo proposto in costituente da Giuseppe Dossetti circa il “Diritto alla resistenza”. È possibile ritenerlo implicito nella nostra carta costituzionale?
«Il diritto di resistenza è stato a lungo discusso quando si è osservato che gli Stati possono porre legittimamente limiti ai diritti, violando principi universali (prima considerati di diritto naturale). Non è codificato».

Più in generale, cosa significa “resistere” oggi in uno scenario in cui la competenza non solo viene ignorata, ma talvolta perfino schernita?
«In merito alla competenza ripeterò quanto ho già ho avuto modo di scrivere. Se la gamba di un tavolo, a casa sua, traballa, lei chiama l’idraulico o il falegname? Se questo vale nella vita quotidiana, perché non dovrebbe valere nella vita dello Stato!»

 Quando si parla di competenza, il pensiero non può non andare alla “piazza” del web, all’interno della quale “l’ignorante e l’esperto hanno lo stesso peso”. In questo contesto, il ruolo dell’informazione  autorevole dovrebbe essere stimolare il pensiero critico, tuttavia l’ambiente dei social, governato com’è dagli algoritmi, favorisce il proliferare di pensieri unici. Secondo alcuni studiosi, tra cui il prof. De Kerckhove, ciò che si sta sviluppando è un sistema definibile “datacrazia”, dove a governare sarà colui il quale, possedendo i “big data”, saprà tutto di noi, del nostro privato, delle nostre scelte politiche e culturali. Sarà la morte della democrazia come l’abbiamo pensata finora? E come possiamo difenderci dai pericoli di internet?
«Qui lei mette insieme più problemi. Il primo è quello della competenza, tanto bene consacrato dalla Costituzione, che prevede il potere legislativo nelle mani di eletti, gli altri due (amministrativo e giudiziario) nelle mani di competenti scelti per le loro capacità, in condizioni di eguaglianza (concorso). Il secondo problema evoca la disponibilità di una grande quantità di dati. Ma non va ingigantito. Uno dei modi di occultare un dato è quello di fornirne troppi. C’è, invece, la questione dell’offerta di servizi da parte delle grandi imprese che governano il mondo digitale, offerta che consente loro di captare e capitalizzare informazioni sugli utenti. Qui c’è un difetto di disciplina, che deriva dalla estensione globale di quell’offerta. Con buona pace di coloro che si ostinano a vedere solo nello Stato la fonte di tutti i poteri, bisognerebbe costituire o rafforzare un potere pubblico globale che sia in grado di controllare».

Parlando del rapporto giovani-anziani, nel volume lei disapprova la teoria – utilizzata spesso per contestare la legge Fornero – secondo la quale gli anziani debbano “semplicemente andare via lasciando il posto ai giovani”; ciò sia per una questione di costi pensionistici da non sottovalutare, sia per una più ampia concezione della società, da non pensare come blindata in un numero definito di posti di lavoro. In merito alla misura del reddito di cittadinanza, citando Tito Boeri, lei afferma che «non è distribuendo soldi, ma assicurando opportunità che si placa la rabbia sociale». Quali prospettive e opportunità concrete sono auspicabili oggi per le nuove generazioni? E in che modo un confronto generazionale può diventare davvero produttivo?
«Molto semplicemente offrendo lavoro, non sussidi. La Costituzione mette al primo posto, tra i valori, il valore lavoro. Ne parla 13 volte. Considera il lavoro come un bene da tutelare e promuovere. Lo considera anche come un dovere (pensi alla seconda parte dell’articolo 4). Perché il governo ha posto in primo piano il “non lavoro”, quota 100 e indennità di cittadinanza, invece di fare un grande piano per l’occupazione, come quello di Di Vittorio?»

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