Frequentemente, nel dibattito pubblico, quando si parla di Terzo Settore e di attività riconducibili al mondo Environmental Social e Governance (ESG), la percezione comune è quella di trovarsi di fronte a delle astrazioni finanziarie, le cui ricadute concrete sono limitate e circoscritte, quando non del tutto adombrate da attività di presunto “Greenwashing”. D’altro canto, talvolta, anche chi è impegnato in prima linea in attività che potremmo definire “volontariato di prossimità” – ovvero quelle persone che fanno del bene senza prendere parte a gruppi strutturati o associazioni – è tendenzialmente portato a guardare con sospetto un approccio che prende in prestito dal mondo del profit una governance più efficiente. Eppure, per far fronte alle grandi sfide cui è chiamato il nostro Paese – come la transizione energetica, il climate change o l’invecchiamento della popolazione – è necessario ripartire non solo da uno spirito di comunità, ma anche fare in modo che queste comunità siano sempre più forti e consapevoli. Ne è convinto Ferruccio de Bortoli, che abbiamo incontrato in occasione di un evento promosso a Catania dalla Banca Agricola Popolare di Ragusa e da Arca Fondi SGR durante il quale ha dialogato con l’AD di BAPR Saverio Continella e il vp Arca Fondi SGR Simone Bini Smaghi.

LO SCENARIO. In Italia, secondo i dati ISTAT del 2020, esistono 350mila associazioni di volontariato, che coinvolgono oggi attivamente sei milioni di persone. «La generosità – spiega de Bortoli – è nel DNA degli italiani. Nel nostro Paese non c’è un bisogno che non abbia una corrispondente offerta d’aiuto a tutti i livelli. E trovo particolarmente significativo il fatto che ciò sia vero a tutte le latitudini, a prescindere da quale sia il reddito medio pro capite». Ciò, tuttavia, assume un senso pieno solamente se contestualizzato in una visione più collettiva. «Ciascuno di noi – prosegue il giornalista – è orgoglioso dei propri risultati, ma deve essere consapevole del fatto che questi non sarebbero possibili in assenza di una comunità, che è fatta da tante parti: dalla scuola pubblica, dalla sanità, dalla parrocchia e dalle stesse banche». Una visione della società, che vede dunque il carattere solidale degli italiani non solo come un elemento d’orgoglio nazionale, ma come parte di un più ampio dovere civico. «Questo riguarda anche le imprese, le quali vengono sempre di più giudicate non soltanto sulla base della qualità dei prodotti e dei servizi che offrono, ma anche sull’utilità sociale di quest’ultimi. A mutare, conseguentemente, è anche il concetto di stakeholder, i quali non sono più solamente i clienti o i fornitori di un’azienda, bensì i cittadini nel loro insieme».

«Così come accade in altri contesti nazionali, anche nel Terzo Settore sussiste una forte difficoltà a fare economie di scala»

RACCONTARE IL BENE. Raccontare tutto questo, secondo l’editorialista e già direttore del Corriere della Sera è un dovere dei giornalisti. «La funzione civica primaria del giornalismo è quella di informare le comunità e la classe dirigente rispetto alle criticità del Paese in modo da potervi porre rimedio, tuttavia io sono convinto che sia anche doveroso raccontare il bene, poiché questo è contagioso».

PROFIT O NO PROFIT? Ma quali sono gli ostacoli a cui va incontro nel nostro paese questo grande capitale sociale? «Così come accade in altri contesti nazionali, anche nel mondo del volontariato sussiste una forte difficoltà a fare economie di scala». Inoltre, in molti ambienti, come quello cattolico, la necessità di introdurre criteri di governance del mondo del profit, come ad esempio l’accountability in una logica di responsabilità contro gli sprechi, non è ancora emersa come sentimento di carattere generale. «Spesso ci si affida alla “Divina Provvidenza”, ma la verità è che questa non mette a posto i bilanci. O perlomeno non mi è ancora capitato di constatarlo. Inoltre, ogni donatore non considera il fatto che la propria donazione possa esaurirsi nei costi di esercizio di una determinata organizzazione e possa non arrivare direttamente alla persona o alla comunità che ha deciso di aiutare. L’investitore, invece, in un capitale finanziario lo mette in conto».

STRUMENTO INDISPENSABILE. Riuscire dunque a fare del volontariato e dello spirito di comunità un reale vantaggio competitivo per il Paese, è una sfida che richiede un approccio tutto nuovo al tema, maggiormente integrato e sinergico, che sebbene sia già in atto in alcuni contesti, necessita ancora di maturare in altri. In ogni caso, nella percezione di De Bortoli, quella del terzo settore è una componente non solo utile, ma indispensabile per affrontare le sfide che il mondo contemporaneo ci pone di fronte. «Alcuni s’illudono ancora che queste siano fronteggiabili solamente dallo Stato, dall’imprenditore o dal “banchiere di soccorso”, ma emergenze come la transizione energetica o il riscaldamento climatico, saranno impossibili da approcciare in assenza di comunità forti e consapevoli».

«Gli anziani non autosufficienti sono sempre più nel nostro Paese e il Sistema Sanitario Nazionale, da solo, non è in grado di fronteggiare quella che si configura sempre più come un’emergenza»

UN ITALIA SEMPRE PIÙ ANZIANA. Per fare un esempio concreto, de Bortoli – indossata la giacca di presidente di Vidas – cita l’invecchiamento della popolazione e l’aumento di anziani fragili e affetti da malattie croniche. «Il Sistema Sanitario Nazionale, da solo, non è in grado di fronteggiare quella che si configura sempre più come un’emergenza. E di certo non si possono colpevolizzare gli anziani di esserlo, come talvolta purtroppo accade». Dall’altra parte, il momento storico è molto delicato anche per le nuove generazioni. «Quella attuale è una società molto feroce nei confronti dei giovani. Un modo per aiutarli potrebbe essere quello di creare un sistema, magari con forme assicurative, che si prenda cura di una crescente fetta di anziani fragili e con problemi di salute cronici i quali, altrimenti, rimarebbero a carico delle nuove generazioni. In caso contrario, questi ultimi si ritroveranno a condurre una vita fortemente limitata».

IL FUTURO? NELLA PREVIDENZA. «Insomma, credo che un modo per affrontare alcune problematiche sociali sia quello di essere previdenti e far sì che le comunità possano, in maniera sempre più efficiente – con le sinergie di cui parlavamo – far fronte ai problemi sociali che avremo, sia per gli andamenti demografici, ma anche per il fatto che il benessere di cui godiamo oggi non è garantito in eterno. Noi abbiamo l’idea che i diritti che caratterizzano la nostra cultura occidentale e la nostra democrazia siano stati acquisiti per sempre. Ma non è così: i paesi declinano». Tuttavia, nella visione di de Bortoli, di fronte a questo rischio, se riconosciuto come tale dalla società, è possibile reagire. «La chiave è in una cittadinanza attiva che, sulla base del capitale sociale di cui abbiamo parlato, metta al primo posto l’educazione civica. Ovvero l’idea che siamo tutti titolari di diritti, ma il cui mantenimento è soggetto al rispetto di altrettanti doveri».


L’EVENTO: BAPR E ARCA FONDI A CATANIA

Portare in Sicilia i protagonisti del dibattito economico e sociale e avviare un confronto con il territorio è stato l’obiettivo dell’incontro organizzato il 18 marzo da Banca Agricola Popolare di Ragusa e Arca Fondi che si è svolto a Catania.

Una sala gremita di Soci e Clienti in cui le parole di Arturo Schininà, Presidente di BAPR, di Saverio Continella, AD di BAPR e di Simone Bini Smaghi, Vice Direttore Generale di Arca Fondi SGR hanno evidenziato la necessità di una riflessione verso una ritrovata fiducia nella società. A tessere le linee di un confronto costruttivo e partecipato è stato Ferruccio De Bortoli, Presidente della Fondazione Corriere della Sera e della Fondazione Vidas.

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