Fra teatro sociale
e tragedia greca:
i migranti secondo
Angelo D’Agosta

Lo spettacolo sarà in replica fino al 26 marzo alla Chiesa di San Nicola l’Arena di Catania per la stagione “Altrove. Il teatro va in città” promossa dallo Stabile etneo

Uno spettacolo che cattura l’attenzione sin dai primi istanti, intimorisce, emoziona, fa riflettere, è un turbinio di sensazioni. La trasposizione teatrale dell’omonimo romanzo in versi di Erri De Luca racconta il viaggio di un gruppo di migranti africani e clandestini verso i porti del Nord.

A ospitare l’allestimento è la sagrestia lignea della Chiesa, un luogo certo non casuale, dimenticato come i volti dei migranti, ricco di potenzialità come ogni essere umano. L’abile regia di Angelo D’Agosta (con l’ausilio di Agnese Failla) guida i giovani attori Luigi Nicotra, Giuseppe Aiello, Ornella Cerro, Leandra Gurrieri, Marianna Occhipinti, Edoardo Monteforte ed Eleonora Sicurella in un viaggio che profuma di speranza, un viaggio che descrive tutti gli itinerari dell’uomo dalla comparsa sul pianeta. Lo spazio angusto della sagrestia riproduce l’immaginario dei barconi, ormai impresso nella coscienza collettiva, l’altare rievoca il sacrificio del figlio di Dio che si perpetua ogni giorno nelle immani tragedie che non lavano, non purgano semmai deturpano le anime di chi, come uno spettatore, si limita ad assistervi.

Un momento dello spettacolo diretto da Angelo D’Agosta (foto Antonio Parrinello)

I costumi di Riccardo Cappello, le coreografie di Amalia Borsellino e il disegno luci di Salvo Orlando tramutano gli attori in figure evanescenti, quasi fantasmi rievocati da una colpa antica e inconscia che si rinnova. Lo spettacolo rievoca l’antica tragedia greca nella mescolanza tra recitazione, danza e canto, quest’ultimo affidato alla direzione di Costanza Paternò. Le parole sono aspre e poetiche, raccontano l’odio e la violenza senza mai rappresentarla, come nei drammi antichi, sono pregne di evocazione come solo il lessico poetico sa fare.

Lo scenario delle migrazioni dell’oggi e dell’ieri è il Mar Mediterraneo, mare materno, grembo di popoli contro il quale si scontrano i volti arsi, gli occhi pieni di sogni e di progetti dei viaggiatori. L’Italia è la loro meta, il bel paese dal nome aperto ma dagli orizzonti ancora ottusi. È vita vibrante quella che emerge dalle parole, dai gesti, dal canto di questi attori emergenti che tocca il suo punto più alto in un momento poeticissimo, il silenzio cullato dai sospiri all’unisono dei personaggi che riproducono il sussurro delle maree.

Quello di D’Agosta è teatro civile e di denuncia. E riesce a esserlo senza mai abbandonare la liricità.

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