«Ho dei parametri precisi nella mia esistenza e la mia vita, a questo punto, è paragonabile ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè, vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, invece di lasciare che queste cose delicate svaniscano». Così scriveva la fotografa statunitense Francesca Woodman alla fine del 1980, e così fece. Il 9 gennaio 1981 decise che era tempo di smettere di creare immagini e si tolse la vita lanciandosi da un palazzo di New York. Non aveva neppure compiuto 23 anni.

La Woodman nasce a Denver, negli Stati Uniti, il 3 aprile del 1958. Il padre fa il pittore e il fotografo e la madre, che lavora soprattutto con la ceramica, intraprende una strada che la porta, anni più tardi, ad avere addirittura una retrospettiva al Metropolitan Museum di New York. Casa Woodman, negli anni Sessanta, è un ritrovo privilegiato per artisti, scrittori, critici, registi. Quando Francesca ha 7 anni, i genitori, innamorati dell’Italia, decidono di trasferirsi per un periodo vicino a Firenze e fare la spola con New York. Ben presto anche la figlia manifesta tutto il suo amore per il nostro Paese. Altrettanto precoce è la sua passione per la fotografia, nata all’età di 10 anni, quando il padre le regala una macchina fotografica. A 13 anni si iscrive all’Abbott Academy, un prestigioso liceo privato del Massachusetts che dà molto spazio alla creatività. Le insegnanti si rendono immediatamente conto di trovarsi dinanzi ad una personalità non comune: nonostante la sua giovanissima età, Francesca manifesta un talento naturale nella costruzione delle immagini, ma anche un raro senso di inquietudine. Lo dimostra uno dei suoi primi scatti, divenuto subito famoso per il contenuto schock: il suo volto è nascosto, mentre in bella vista appare il cavo che serve per attivare l’autoscatto, per dimostrare a tutti che è proprio lei l’autrice di quella incredibile fotografia. A regnare, ancora una volta, è un’atmosfera di inquietudine.

Sconosciuta in vita, Francesca diviene celebre nel 1986, cinque anni dopo la sua morte, grazie alla prima mostra del suo lavoro al Wellesley College, a Boston. Considerata un simbolo del surrealismo femminile, per molti il suo tragico destino era già stato anticipato dal tenore dei suoi scatti. Le sue foto fanno appello a una moltitudine di contraddizioni: piacere e dolore, esaltazione del suo essere donna, sensualità e durezza, trasparenza e solidità, piattezza e multidimensionalità, l’istante e l’eternità del momento. Prodotte nell’arco di nove anni, dal 1972 al 1981 tra i 13 e i 22 anni le sue immagini si concentrano soprattutto sulla sua persona e su ciò che stava intorno a lei, sono delle esplorazioni sul corpo e sulla sessualità, Francesca afferma sé stessa, il suo essere al mondo, il suo tentativo di darsi una forma, un’ombra, una impronta. Nel corso della sua breve vita ha prodotto oltre 8 mila tra negativi, provini e stampe. Gli scatti sono caratterizzati dall’uso di una lunga velocità dell’otturatore e spesso della doppia esposizione. Un modo voulto di distorcere i risultati. 

Lo scatto presentato è fortemente contraddittorio, lascia in chi lo guarda un senso di angoscia e di tormento. Come se fosse appena successo qualcosa di orribile, di irrimediabile. Forse è un grido d’aiuto, una richiesta di soccorso, non si saprà mai. Per la lunga esposizione il suo volto quasi scompare, confondendosi con il muro scrostato in una piccola terrazza abbandonata. Il corpo è vivo, vitale, giovane, sembra un fantasma in fuga, un fantasma nel suo stesso corpo, le gambe ben fisse sul terreno, con i piedi quasi da ballerina mentre si prepara a danzare nella frenesia delle circostanze. 

In soli 22 anni di vita, Francesca Woodman ha lasciato un segno indelebile nell’arte della fotografia innovandone dal profondo il linguaggio fino alla proposizione di una nuova “grammatica delle immagini”. Pur in una vita tanto breve è riuscita a lasciare un’immagine di sé intensa. Francesca non lascia molte parole, non espone mai a voce il suo pensiero, le mette su carta fotografica e nei suoi diari. Tornata a New York dopo la laurea, la precarietà e la difficoltà nell’affermarsi la portano in poco tempo alla depressione. Il primo tentativo di suicidio risale al 1980. Pochi mesi dopo, il giorno prima della pubblicazione della sua prima collezione fotografica, nel gennaio del 1981 con un salto spettacolare dalla sua casa di Lower East Manhattan si toglie la vita. Sotto il peso insostenibile di un mondo troppo grande e complicato. Nel tentativo disperato di placare il dolore una volta per tutte.

Amava ripetere alle sue amiche che: «L’unico problema è che il mondo dell’arte ti dimentica se vai via cinque minuti». Per ironia della sorte, andando via per sempre e non per cinque minuti nessuno l’ha più dimenticata.

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