«Una sola immagine ha una forza tale da attraversare il mondo intero e portare con sé un messaggio significativo». La grande fotografa italiana Tina Modotti, già all’inizio dello scorso secolo aveva le idee chiare sullo strumento che, di fatto, ha rivoluzionato il mondo della comunicazione del ‘900. Nata ad Udine nel 1896 da genitori operai, fu una personalità sfaccettata: le circostanze la portarono ad essere anche modella, attrice, attivista politica nonché costringerla all’esilio. 

A soli 16 anni lascia Udine e lo studio fotografico dello zio, in cui aveva iniziato a coltivare la sua nascente passione, per raggiungere il padre negli Stati Uniti. Nel 1918 sposa il pittore Roubaix e con lui si trasferisce a Los Angeles, dove inizia a lavorare nel mondo del cinema. Tramite il marito conosce il fotografo Edward Weston, di cui diventa musa e amante. Con lui apre uno studio di ritratti a Città del Messico. In breve tempo, la sua carriera di fotografa conosce una svolta radicale. Dall’interesse naturalistico – gira il Paese ritraendone le bellezze – inizia ad utilizzare la fotografia come strumento di denuncia sociale. Ritrae operai impegnati nel lavoro, manifestazioni di piazza e simboli politici. I suoi scatti trovano spazio presso le più importanti riviste messicane. Grazie a questa notorietà entra in contatto con personalità quali lo scrittore John Dos Passos e la pittrice Frida Kahlo.

Nei suoi reportage, che qualcuno ha definito “fotografia di strada”, la Modotti non si concede mai l’uso di effetti speciali: «Desidero fotografare ciò che vedo – affermava – sinceramente, direttamente, senza trucchi, e penso che possa essere questo il mio contributo a un mondo migliore». Lo scatto presentato è un chiaro esempio di questa attenzione alla bellezza semplice. Lo sguardo della giovane con un cesto a forma di zucca – scattata nel 1929 – prende luce da una consapevole fierezza che fa alzare il mento verso grandi orizzonti che si possono ottenere solo con la rivoluzione.  L’apparente fissità degli occhi dà l’impressione di una dilatazione del tempo di osservazione nella speranza di poter cogliere ogni sfumatura, fino alla sfida con chi opprime.

La fotografia è vissuta da Tina come “evento”: un accadimento esistenziale che muta la propria esperienza. Anche per chi guarda è qualcosa che accade, qualcosa che trasforma la realtà in desiderio e speranza. Le sue immagini nascono dalla Storia, ma creano rottura perché denunciano l’oppressione e risvegliano le coscienze, facendo emergere una nuova e diversa visione del mondo. Cartier Bresson sosteneva che la macchina fotografica è un quaderno d’appunti, ed il fotografo, per dare significato all’universo dell’immagine, deve essere coinvolto in ciò che inquadra, proprio come faceva Tina con le sue foto autentiche e senza manipolazioni, stabilendo un vero e proprio dialogo politico con chi subisce ingiustizie e cerca la libertà.

Dopo la grande delusione politica provocata dal patto tra l’Unione Sovietica e la Germania nazista, la Modotti decide di lasciare il partito comunista messicano. Si spegnerà all’alba del 5 gennaio 1942 in seguito a un malore. Pablo Neruda le dedica un epitaffio, a testimonianza della indomita vitalità e perseveranza nella difesa dei propri ideali: «Non dormirai invano, sorella».

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