Nel suo ultimo saggio edito da Einaudi, il docente di storia moderna alla Normale di Pisa si confronta con uno dei temi più intricati del nostro tempo, riportandolo dentro le sue coordinate storiche e aiutandoci a capire meglio il mondo di oggi

La complessità di un fenomeno si misura dalla difficoltà riscontrata nel darne una definizione. Il terrorismo è uno dei fenomeni attuali più complessi e, in quanto tale, terreno fecondo per le falsificazioni storiche. Francesco Benigno, docente di storia moderna alla Normale di Pisa, dimostra con “Terrore e terrorismo. Saggio storico sulla violenza politica” (Einaudi 2018) quanto l’analisi storica di un fenomeno possa fare chiarezza sul nostro presente.

Prof. Benigno, nel suo saggio ripercorre l’evoluzione di terrore e terrorismo da Robespierre all’ISIS. In quest’arco di tempo come si è evoluta la figura del terrorista? Si nota un gap culturale tra il terrorista di fine ‘800 e quello contemporaneo?
«La tesi del libro è che il terrorista non sia un essere speciale e identificabile, bensì un combattente che persegue una causa, al di là del fatto che essa possa piacerci o meno. Il nostro modo di guardare la realtà è però viziato dal desiderio di incarnare il male in una figura che lo rappresenti: il terrorista. Oggi colleghiamo questo termine all’ immagine di un ragazzo arabo con uno zainetto sulle spalle, mentre agli inizi del ‘900 lo si identificava con un anarchico dalla barba nera, un capello a larghe tese e un mantello. Certo con l’evoluzione tecnologica anche persone molto emarginate possono trasformarsi in terroristi, pur essendo privi della consapevolezza che caratterizzava ad esempio i rivoluzionari russi di fine ‘800; ma il fatto che siano meno colti non significa che non coltivino idee e convinzioni assai affini a quelli del terrorista dei secoli precedenti».

C’è un evento storico che ha decretato la trasformazione della strategia terroristica in strumento di politica internazionale?
«La difficoltà nel definire il fenomeno terroristico risiede nel fatto che utilizziamo lo stesso termine per indicare sia la violenza rivoluzionaria, sia quella statale. Il terrorismo rivoluzionario è lo strumento di chi combatte una lotta impari e compie quindi un atto simbolico che mima la guerra, volto a convincere i propri camerati che se si alleassero potrebbero vincere. Bin Laden ad esempio non poteva sconfiggere gli Stati Uniti, ma attaccando le Torri Gemelle lanciò un messaggio alla propria gente galvanizzandola. Il terrorismo rivoluzionario nasce non a caso dalla guerriglia e si basa sull’imprevisto, conducendo azioni minime ma molto violente che generano disorientamento. Naturalmente questa tecnica è a disposizione anche degli Stati, che possono utilizzarla per fini di politica internazionale. L’evento più importante in cui terrorismo rivoluzionario e machiavellico/statale si intrecciano è l’attentato di Sarajevo: la prima Grande Guerra è stata provocata da un atto terroristico compiuto da un gruppo di bosniaci (che oggi definiremmo fanatici) intenti a difendere l’autonomia della Bosnia, ma con il contributo dell’organizzazione Mano Nera, intenta a costruire la grande Serbia a spese dell’Austria. Il terrorismo come un Giano bifronte tende un volto al popolo, per svegliarlo dal sopore e spingerlo alla lotta rivoluzionaria, l’altro, più buio e nascosto, ai gruppi contro rivoluzionari o ai rivoluzionari che intendono servirsene per ottenere il potere politico».

Che tipo di rapporto esiste tra l’evoluzione del terrorismo e quella della guerra?
«Non solo le due evoluzioni sono parallele, ma entrambe sono connesse agli sviluppi della scienza e della tecnologia. Prendiamo il caso della scoperta dei materiali esplosivi, come la dinamite ad opera di Alfred Nobel, un esplosivo che per la facilità di produzione e distribuzione meritò l’appellativo di “arma democratica”: se ancora nel Medioevo la differenza militare tra il cavaliere e il contadino era evidente, con una pistola in mano tutti i soldati sono divenuti uguali».

Il terrorismo odierno può essere considerato esempio di una guerra sempre più celata e meno tradizionale?
«Il terrorismo cambia con l’evolversi del quadro internazionale. Il mutamento più decisivo degli ultimi 50 anni è stato il superamento del mondo diviso in due blocchi, un mondo in cui strategia terroristica e scontro perenne divennero l’essenza stessa della guerra fredda. Da quando la minaccia nucleare è divenuta reale, gli scontri bellici hanno assunto modalità surrettizie, e tra queste l’impiego di gruppi terroristici è divenuta frequente».

Ritiene che negli ultimi anni si possa parlare di una crescita nell’uso politico della storia?
«La storia ha sempre avuto un uso politico. Gli storici ne sono consapevoli e il loro compito è fronteggiare l’uso improprio del passato, facendosene guardiani e difendendo soprattutto ciò che del passato non può essere detto. Gli studiosi assumono nei confronti della storia lo stesso atteggiamento che il giornalista dovrebbe assumere per il presente: essere rispettosi dell’irriducibile durezza dei fatti. Tipica del nostro tempo appare invece la convinzione che esistano più verità e ognuno abbia il diritto di costruirsi la propria storia. Tra le cause di questa distorsione nella percezione del passato, da una parte vi sono i social media che hanno indotto una tirannia del presente, dall’altra modifiche più profonde e meno dicibili nel nesso tra passato, presente e futuro. Una delle condizioni del dispiegamento dell’idea di storia nel passato era quella per cui il presente si agganciava ad un futuro possibile. Tramontato il “sol dell’avvenire” il presente è rimasto privo di appigli, il presente si retroflette verso il passato e il rapporto tra i due piani temporali avviene sotto l’egida di una nuova categoria: il trauma. Siamo costantemente alla ricerca di traumi del passato da legare emotivamente e per immagini ai traumi del presente: questa è la congiuntura del tempo nel vecchio continente, una terra che si ripiega su sé stessa, quale antico dominatore deposto».


Il libro “Terrore e Terrorismo. Saggio storico sulla violenza politica” sarà presentato lunedì 28 gennaio alle 17 presso Palazzo Duchi di S. Stefano a Taormina e martedì 29 alle 17 presso l’aula Santo Mazzarino del Monastero dei Benedettini. Sarà presente l’autore.

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