Capita spesso che l’allievo superi il maestro. Una dinamica ciclica e naturale, che da secoli alimenta ininterrottamente il serbatoio di ogni campo artistico. Ciò non significa, tuttavia, che ai mentori non vada riconosciuta la dovuta deferenza: se tutti, da un lato, esaltano la modernità di Giotto, è pur vero, dall’altro, che a Cimabue è riconosciuto il merito di averlo svezzato e di aver creduto in lui; la grandezza incommensurabile di Leonardo Da Vinci non può e non deve oscurare il ruolo avuto dal Verrocchio nella sua formazione; o, ancora, che ne sarebbe stato di Platone senza Socrate? E di Pascoli senza l’incontro con il prof. Carducci? Tuttavia, si sa, la storia trova sempre un modo per mostrarsi bizzarra, capricciosa, beffarda. Lo dimostra la sorte contemporanea di un grande siciliano uscito inspiegabilmente dai radar della critica e dell’opinione pubblica. Uno scrittore così prolifico e lungimirante da essere stato definito il “Simenon italiano”. Un geniale acrobata della parola – oltre ai polizieschi maneggiava con perizia anche la poesia, la drammaturgia e il racconto di fantascienza – che tracciò il solco su cui poi giganti come Sciascia e Camilleri avrebbero mosso i loro gloriosi passi. Il suo nome era Franco Cannarozzo, ma il cognome fu ben presto tramutato in Enna per via del legame con la sua città natìa.

Proprio Camilleri, ad inizio millennio, riferendosi alla loro conoscenza intercorsa tra il 1946 e il 1948, riconobbe all’autore classe 1921 il giusto tributo: «Ed io, proprio tra quelle stanzette, credo di essermi formato come scrittore». Ciononostante, Enna conobbe la fortuna che il presente gli nega a partire dal 1955, quando la casa editrice Mondadori scommise sul suo talento pubblicandolo con frequenza. Erano gli anni di Preludio alla tomba, Il delitto mi ha vinto, Brivido all’italiana. Gli anni in cui Alberto Tedeschi, primo direttore della celebre collana Il Giallo Mondadori, ne sanciva il ruolo di inventore del cosiddetto giallo d’arte e di provincia. Non soltanto, infatti, ad Enna si devono quelle affascinanti e vivificanti ambientazioni di periferia isolana che tanto sanno ammaliare autoctoni e non – da Marsala a Pantelleria – ma l’elaborazione di un modello narrativo che oggi sembra garantire un successo immediato. Prima del capitano Bellodi e dell’ispettore Rogas, prima di Salvo Montalbano e Saverio Lamanna, tra le sue pagine era apparso quello che, con buona probabilità, può essere considerato il primo poliziotto siciliano: il commissario Federico Sartori. Un eroe umano e sicilianissimo, che, tra fragilità e nostalgie da Sicilitudine, avventure sentimentali e scelte dettate da una generosa impulsività, geniali intuizioni e inevitabili cantonate, appare portatore di una stupefacente modernità e capace di cattura spontaneamente la nostra empatia. C’è, nelle opere del maestro Enna, la Sicilia dei piccoli cuori in cerca di giustizia, il tipico, intricatissimo gomitolo di misteri che lascia il lettore con il fiato sospeso fino al suo sorprendente scioglimento, l’eterno dilemma degli uomini di legge tra fedeltà ai propri princìpi e machiavellica ricerca della chiave risolutiva. Elementi letterari ormai ben noti – e talvolta persino abusati – all’immaginario collettivo, che, tuttavia, non esistevano certo in questa forma prima delle riflessioni di Enna. Un vero pioniere, insomma.

Enna morì a Lugano nel 1990. Benché avesse continuato a pubblicare fino al 1987 (la sua ultima fatica, Riciclaggio, uscì addirittura postuma nel 1991 proprio in Svizzera), finì i suoi giorni nell’indifferenza generale del pubblico e degli addetti ai lavori che tanto alla ribalta lo avevano consegnato. Solo la sua terra, e in particolar modo la sua tanto amata città a cui aveva deciso di votare persino il suo nome, mantenne viva la memoria del suo nobile interprete, consegnandogli nel 1986 il Premio Euno per i suoi meriti letterari e, più in generale, culturali. Meriti che oggi, tra fiction virali e romanzi che vanno pressoché a ruba, fanno capolino senza essere adeguatamente riconosciuti. D’altronde, forse, è questo il destino di ogni maestro: rivivere all’ombra delle luci che ha allevato.

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