«Sono convinto che, quando fotografo le complessità urbane, le presenze umane distraggono dalla forma degli edifici e dello spazio, per questo tendo ad aspettare sempre che non ci sia nessuno». Gabriele Basilico è stato uno dei più grandi fotografi di aree urbane al mondo. Prima di lui, probabilmente, non esisteva neppure la definizione di “fotografo urbano”. In molti avevano immortalato grandi città nei loro scatti, ma nessuno si era mai soffermato sullo spazio urbano come protagonista assoluto, unico vero soggetto fotografico.

Basilico nasce a Milano nel 1944 e, fin da piccolo, rimane affascinato dai paesaggi urbani milanesi per la loro maestosità. Intorno al 1968, dopo aver frequentato alcuni anni presso la facoltà di Architettura, si ritrova al centro delle manifestazioni di quel periodo e la fotografia finisce col diventare il suo modo di partecipare al cambiamento del mondo. Dopo aver fotografato proteste, cortei e manifestazioni di studenti e lavoratori, Basilico, con gli anni, comprende che la fotografia urbana è la sua vera vocazione. In questo senso, la svolta arriva grazie ad un viaggio a Glasgow nel 1969. È in questo clima che si colloca il primo lavoro significativo della sua carriera, al termine di un decennio di esperimenti e prove: si tratta di Milano. Ritratti di Fabbriche del 1982. Non sono le strade affollate a fare da soggetto, ma la desolazione delle architetture, simbolo di una vita urbana insieme inerme e monumentale. Più che luogo da fotografare, la città, per Basilico, assurge al ruolo di organismo vivente, un mistero da cui trarre la «strana bellezza»  propria di ogni metropoli, «non solo nella memoria dei centri storici, ma anche nella frammentazione spontanea delle periferie».

Basilico ha saputo incorniciare e documentare centinaia di spazi urbani, trasmettendo ai suoi scatti uno sguardo appassionato anche per territori apparentemente desolati, desiderosi di recuperare la loro dignità. Ha creato una ininterrotta narrazione dei luoghi, indagando numerose città europee e nel mondo, ponendole in relazione tra loro. Il suo metodo, basato sui principi della compattezza e della coerenza, nonché sull’importanza di tornare sui luoghi per coglierne ogni sfumatura, lo ha condotto a cogliere ogni trasformazione, ogni mutazione perenne.

Un’altra data fondamentale per la sua carriera è da ricercare nell’anno 1991, quando viene invitato a Beirut per raccontare le devastanti condizioni belliche in cui versa la capitale del Libano dopo un lungo conflitto. Grazie al lavoro svolto sul campo,  la sua fama a livello mondiale diventa indiscutibile. Da quel momento Basilico sarà riconosciuto come un’autorità nel campo della narrazione per immagini, grazie anche agli scatti realizzati in località come Shanghai, Berlino, Rio de Janeiro e la Silicon Valley nel sud della California.

L’immagine presentata è stata scattata a Shanghai nel 2010, tre anni prima della sua morte. Più volte Basilico è tornato a fotografare la metropoli cinese lanciata verso il futuro, pronta ad adottare modelli di vita occidentali, rappresentati dalla superbia verticale delle centinaia di grattacieli che oggi costellano il suo avveniristico panorama urbano sui generis. Il maestro milanese riesce a cogliere in modo mirabile l’idea di confine della periferia, insieme al nuovo che sembra spadroneggiare.  Quello che colpisce nello scatto è, insieme all’assenza totale di folle e movimenti metropolitani, la raffigurazione di edifici in tutta la loro pienezza, forme pure, perpendicolari, perfette, insieme alla zona più antica, per nulla mal ridotta. È l’occhio dell’architetto che coglie, accosta, mette in contrapposizione elementi geometrici e un sottofondo di brulicante umanità, appena percepito nelle macchine parcheggiate nel cortile di una scuola cinese e nel vicino supermercato.

Per Basilico «Fotografare la città non vuol dire scegliere le migliori architetture e isolarle dal contesto per valorizzare la loro dimensione estetica e compositiva, ma vuol dire esattamente il contrario. Cioè mettere sullo stesso piano l’architettura “colta” e l’architettura “ordinaria”, costruire un dialogo della convivenza, perché la città vera, la città che mi interessa raccontare, contiene questa mescolanza di eccellenza e mediocrità, tra centro e periferia». Shanghai, in questo senso, ne è un esempio perfetto.

Il guardare e riguardare di Basilico, nel tempo è diventata un’arte. Il suo è stato un occhio indagatore, mai sazio, di sicuro tanto paziente. A volte socchiuso per riuscire a decifrare meglio le prospettive o a leggervi dentro le possibili evoluzioni, fino a entrare dentro l’immagine dello spazio urbano come mai nessuno è riuscito a fare.

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