Il fotografo italo-americano ha alle spalle una lunghissima carriera, che lo ha visto operare sul campo di battaglia del secondo conflitto mondiale e ritrarre i grandi dell’arte e dello spettacolo del Novecento. Tutte queste esperienze accomunate da una passione innata e da un approccio ben preciso: catturare sentimenti e renderli eterni

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]N[/dropcap]on fotografo immagini, fotografo emozioni, significati ed ai fotografi dico: la fotografia è prima di tutto un linguaggio e poi un’arte». A parlare uno dei protagonisti del fotogiornalismo del Novecento, l’italo-americano Tony Vaccaro che, a 96 anni, sarà presente al Meeting di Rimini per l’amicizia fra i popoli dal 18 al 24 agosto con una mostra di fotografie.

Michelantonio Celestino Onofrio Vaccaro è nato a Greensburg in Pennsylvania nel 1922, all’età di 3 anni si trasferì con la sua famiglia in Italia, a Bonefro, in Molise. Nel 1939 tornò negli Stati Uniti dove frequentò la New Rochelle High School. Inizialmente si appassionò alla scultura, ma su consiglio di un suo professore, un certo Bertman Lewis, iniziò a studiare fotografia. La sua prima macchina fotografica fu una Argus C-3. Nel settembre del 1943 entrò nell’esercito ed alcuni mesi più tardi fu inviato in Inghilterra tra le fila dell’ottantatreesimo reggimento di fanteria. Durante la guerra scattò oltre 8.000 fotografie, più della metà delle quali andarono perse.

Al termine del conflitto iniziò a lavorare per la rivista militare Stars and Stripes, per la quale fu inviato in Italia come fotoreporter. Dal 1949 in avanti si stabilì a New York ed iniziò a lavorare come fotografo freelance per molte riviste: Flair, Look, Life, Venture, Town and Country, Quick e molte altre. In quegli anni Tony Vaccaro lavorò sia come fotoreporter che come fotografo di moda. Dal 1954 al 1969 iniziò a lavorare anche a Roma, dividendosi tra le due sedi: quella italiana e quella di New York. Nel 2015, all’età di 93 anni ha aperto uno studio fotografico proprio a New York.

Vaccaro può essere definito un cantastorie del mondo: ogni fotogramma è inscindibilmente legato a un’esperienza vissuta, a una vicenda storica, a un rapporto umano e a una memoria della sua storia personale. La foto scelta è stata scattata a Roma durante i giorni della liberazione alla fine della seconda guerra mondiale. È un’immagine che parla da sola, racconta di un gesto semplice come un bacio in ginocchio tra una bambina romana e un soldato anglo-americano che rappresenta un mondo in rapida e continua trasformazione. Un mondo che, dopo gli orrori della guerra, era desideroso di rinascere. Significativa la presenza nella foto di un fazzoletto bianco dove la bambina poggia le sue ginocchia per non rischiare di scorticarsi la pelle e di una sigaretta appena accesa e subito spenta dal militare. Segno di una totale spontaneità del momento di festa che alcune donne romane con alcuni soldati stavano vivendo.

In un istante, Vaccaro, riesce a immortalare una atmosfera che in apparenza, un attimo prima, era lontana anni luce dalla realtà. Eppure l’orrore, il male, lui, l’ha visto davvero negli occhi. La distruzione l’ha vissuta. Ma, a dispetto di questo drammatico scenario, ciò che con più forza emerge dai suoi scatti è un senso tangibile di speranza, di serenità e di rinascita, quasi che l’aver vissuto sulla propria pelle l’orrore della guerra lo spinga, appunto, a cercare qualcosa di profondo che non è un’illusione, ma che c’è, bisogna solo saperla rintracciare nella realtà. Solo questa scoperta ha permesso ai suoi scatti di rimanere per sempre impressi nella storia del nostro secolo.

Durante una carriera fotografica di quasi ottant’anni ha fotografato: re e regine, presidenti, papi, scrittori, attori e attrici, artisti e scienziati. Sempre con un’attrezzatura leggera e senza assistenti, prevalentemente con luce naturale, senza imporre o suggerire pose. Tra le celebrità da lui fotografate ricordiamo: Giovanni XXIII, John Kennedy, Eisenhower, Enzo Ferrari, Greta Garbo, Pablo Picasso, Federico Fellini, Maria Callas, Sophia Loren e Marcello Mastroianni.

Interessante quello che lui stesso, in una intervista, racconta della genesi della sua teoria della fotografia. «Ricordo – afferma Vaccaro – che quando sono arrivato a Bonefro, per la prima volta, non parlavo italiano e se facevo qualcosa di male venivo punito, ma non capivo perché. Poi ho iniziato a leggere i sentimenti dei miei parenti e a capire al volo ciò che mi sarebbe accaduto semplicemente osservando i loro comportamenti. Ecco, questa capacità l’ho poi trasportata nella fotografia e invece di scattare foto in posa come facevano tutti gli altri, io catturavo i sentimenti dei miei soggetti e li immortalavo in un’immagine».

 

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