«Avete messo al sicuro le mie macchine fotografiche? Sono nuove, attenzione pure ai rullini». Questa la raccomandazione della dimenticata Gerda Taro, morta all’età di 27 anni, schiacciata sotto i cingoli di un carro armato durante la guerra civile spagnola nel 1937. Gerda fu la prima reporter donna a perdere la vita durante un conflitto armato e fino al giorno della sua scomparsa i suoi scatti sono apparsi sulle principali riviste dell’epoca. Un’eredità, la sua, che negli anni a venire fu oscurata fino a scomparire dietro l’imponente figura di Robert Capa, suo partner nella vita e nel mondo della fotografia.

Gerta Pohorylle, meglio conosciuta come Gerda Taro, nacque a Stoccarda nel 1910 da una famiglia borghese ebrea. Donna dalle forti idee di sinistra, venne arrestata per una campagna contro il governo durante l’ascesa del partito nazionalsocialista nel 1933.  Una volta rilasciata lei e la sua famiglia furono costretti a lasciare il Paese e a trovare rifugio in varie parti di Europa. Gerta giunse a Parigi nel 1934 e un anno dopo incontra Endre Friedmann, che sotto il nome di Robert Capa passerà alla storia come il più importante fotografo del 20esimo secolo. Con lui iniziò una nuova vita umana e professionale. A Robert, che le trasmise l’amore per la fotografia, lei instillò il coraggio e la passione per la lotta politica che i due affrontarono armati delle loro macchine fotografiche.

I suoi scatti, come quello presentato in questo spazio, mostrano una vicinanza fisica ed emotiva ai propri soggetti unica

Diventò sua agente nonché sua stretta collaboratrice ed è anche grazie ai suoi sforzi per venderne le foto alle redazioni dei giornali parigini che Capa diventò presto un fotoreporter molto stimato e quotato. L’affinità tra i due era così forte che è spesso impossibile attribuire con certezza la paternità di molti dei reportage che realizzarono in quel periodo. Non sorprende quindi che Gerda firmasse i propri scatti sia con lo pseudonimo “PIX” sia con la sigla “Reportage Capa & Taro”. Si completavano perfettamente, anche dietro l’obbiettivo: Capa lo puntava dove i combattimenti erano più drammatici, mentre Taro cercava di cogliere il lato più umano degli eventi bellici, dando risalto alle sofferenze della gente comune, martoriata dai bombardamenti sui civili, alla fame e alla disperazione dei bambini vittime dei conflitti e a quella dei feriti negli ospedali.

Gerda, “la biondina”, come l’avevano soprannominata in Spagna, aveva uno spirito rivoluzionario e aveva uno sguardo fotografico possente. I suoi scatti, come quello presentato in questo spazio, mostrano una vicinanza fisica ed emotiva ai propri soggetti unica, forse non dimenticando quanto affermava Robert Capa: «Se una foto non è buona non eri abbastanza vicino». Tali soggetti sono per lei sempre umanissimi, costantemente evidenziati grazie a un preciso taglio prospettico e sono loro, i protagonisti della guerra, più che i soldati, sono i civili le vere vittime. L’inquadratura è sempre equilibrata e svela un linguaggio di forte coinvolgimento.

Dopo oltre settant’anni di sottovalutazione, smise di essere “la metà di Robert Capa” e fu riconosciuta per la grande donna e poderosa pioniera della fotografia di guerra che era

Nessuno dei protagonisti dell’immagine guarda l’obiettivo, lei sta correndo con loro. Il dramma e il dolore si leggono nel volto di tutti, donne, uomini e bambini.  Per Gerda è indifferente l’uso della macchina fotografica, alternava la Rolleiflex alla Leica, che spesso preferiva – come in questo caso – per l’agilità del mezzo e la possibilità, inserendo lenti diverse, di creare una bella profondità di campo, con una forte gradazione di sfocatura, facendo guadagnare alla foto intensità e migliore tecnica. La scelta, poi, di vicinanza nello spazio, sia per Taro che Capa, era deliberata: bisogna abbandonare il punto di vista distanziato e sicuro dell’osservatore, in qualche modo imparziale, per far percepire più profondamente il bisogno di partecipazione e d’esser parte di qualcosa di più coinvolgente, era la scelta della solidarietà.

I funerali si celebrarono il 1° agosto a Parigi, il giorno del suo ventisettesimo compleanno: poeti Louis Aragon e Pablo Neruda che lessero l’elogio funebre e a una enorme folla composta da 200.000 parigini

Gerda Taro, nonostante a lungo oscurata dalla fama del suo compagno, cofondatore, tra l’altro, nel 1947 dell’agenzia Magnum, dopo oltre settant’anni di sottovalutazione incomprensibile, fu riconosciuta per quello che è stata, una grande donna e poderosa pioniera della fotografia di guerra, protagonista unica della Storia della Fotografia, del Fotogiornalismo e non più come “la metà di Robert Capa”.

I funerali si celebrarono il 1° agosto a Parigi, il giorno del suo ventisettesimo compleanno, alla presenza dello stesso Robert Capa che la salutò per l’ultima volta sconvolto come il “grande amore della sua vita”, ai poeti Louis Aragon e Pablo Neruda che lessero l’elogio funebre e a una enorme folla composta da 200.000 parigini. Nel 1938, un anno dopo la drammatica morte di Gerda, Capa manderà in stampa “Death in the Making”, con molte foto scattate insieme e un palpabile segno di un’unione mai davvero tutto interrotta con un destino per certi versi simile nella fine: anche lui morirà sul campo, durante la guerra d’Indocina nel 1954, dilaniato da una mina.

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