Gian Carlo Blangiardo: «Giovani e famiglia i pilastri per un Sud che possa guardare al futuro»
«I dati statistici fotografano una realtà. Non dono risolutivi, ma quando letti in maniera corretta e non strumentalizzata, possono suggerire quali sono le criticità su cui impegnarsi, e anche le direzioni di lavoro per farlo». È da questa premessa che ieri, presso l’Aula Magna del Palazzo Centrale dell’Università di Catania, ha presso le mosse l’intervento di Gian Carlo Blangiardo. L’ex presidente Istat, ordinario di demografia all’Università di Milano Bicocca, ospite d’eccezione dell’appuntamento conclusivo del “Seminario di formazione all’impegno sociale e politico” promosso dal coordinamento Non possiamo tacere e dall’Arcidiocesi di Catania, ha espresso il suo autorevole parere sui fattori che continuano ad incrementare l’atavico gap tra Nord e Sud Italia, soffermandosi, in particolare sui temi dell’emigrazione giovanile e della denatalità.
NON È UN PAESE PER GIOVANI. «Quello dei ragazzi che abbandonano il Meridione – ha sottolineato – è un problema innanzitutto di carattere quantitativo, se pensiamo ai dati dell’ultimo ventennio (circa un milione secondo l’indagine Svimez, ndr). Ma è anche un enorme deficit qualitativo: spendiamo tempo e risorse per formare delle figure professionali che andranno a generare valore aggiunto in paesi concorrenti». A questo va affiancato il cruccio dei NEET: «La mancanza di formazione ha certamente delle ricadute sulla persona e sulla sua capacità di realizzazione personale, ma anche sul contesto in cui questa fa fatica ad inserirsi: senza la possibilità di formare una famiglia e di entrare nel circuito del lavoro, viene meno anche quella di dare vivacità al proprio territorio»
I FIGLI SONO DI TUTTI. La drammaticità dei dati sulla fuga dei cervelli si somma, poi, a quella sui dati relativi alle nascite. Da cui risulta che l’Italia è, sostanzialmente, un paese di culle vuote. «Mediamente, gli italiani dichiarano di desiderare due figli. Ma oggi il tasso di fecondità si attesta all’1,24%. Le politiche attuate fino ad ora non hanno sortito effetto. E poi, verrebbe da dire, esiste un notevole deficit culturale rispetto ad altri paesi europei». Secondo Blangiardo, infatti, le famiglie che scelgono di mettere al mondo dei figli non sono abbastanza sostenute: «I figli sono di tutti, non soltanto delle famiglie che li mettono al mondo. Se i nuovi nati continueranno a diminuire, come accade da un decennio a questa parte, ci ritroveremo con un paese progressivamente più vecchio, con meno possibilità di operare con azioni di welfare pubblico e privato, con reti familiari e di affetti indebolite».
IL CORAGGIO DI RISALIRE. Come fare, dunque, per invertire la rotta? E come valorizzare il potenziale di una città come Catania, in cima alle classifiche della povertà educativa eppure hub tecnologico di respiro sempre più internazionale, che può vantare eccellenze come la Etna Valley? «È necessario – ha concluso Blangiardo – attuare politiche che mettano i giovani, su cui si fonda il nostro futuro, in condizione di scegliere serenamente di restare, di avere offerte ed opportunità competitive. E poi bisogna guardare all’esempio di paesi come Germania, Romania ed Ungheria, che sono riemerse da un inverno delle nascite tanto notevole quanto il nostro. Bisogna potenziare l’occupazione femminile e sfruttare pienamente i mezzi che il nostro tempo ci offre. Lavori più flessibili, più diversificati e sostenibili possono essere la chiave di volta». Senza dimenticare lo sforzo che è richiesto alla società civile: «Lo Stato deve giocare la sua parte, ma lo stesso deve fare ogni cittadino, talvolta prendendo scelte coraggiose che guardino al lungo periodo piuttosto che all’immediato. Studiando il mercato del lavoro e specializzarsi in ambiti molto ricercati e futuribili. Senza sacrificio non c’è risultato».
L’INCONTRO
L’intervento di Gian Carlo Blangiardo ha rappresentato la conclusione del ciclo di seminari promosso dal gruppo Non possiamo tacere e dall’Ufficio per i problemi sociali e dal lavoro dell’Arcidiocesi di Catania e coordinato dal già prefetto della Repubblica Claudio Sammartino, il quale ha ricordato l’importanza dell’iniziativa, specie alla vigilia delle elezioni amministrative della città di Catania: «Con il gruppo “Non possiamo tacere” – ha affermato rivolgendosi anche alle numerose personalità del mondo politico locale presenti in platea – abbiamo sentito l’esigenza di non rimanere più a guardare senza agire le ferite di questa città, di dare il nostro contributo di idee. E, in vista anche delle prossime elezioni amministrative, abbiamo chiamato gli altri cittadini a fare lo stesso».
A portare i suoi saluti è stato anche il Direttore della Banca d’Italia Gennaro Gigante: «Al Sud le potenzialità ci sono tutte. Ma bisogna analizzare con attenzione le realtà econometriche e sociali: solo così sarà possibile trovare le soluzioni strutturali per valorizzare il talento».
Di valorizzazione del talento ha parlato anche Francesco Priolo, Magnifico Rettore dell’Università di Catania: «Il livello formativo degli atenei italiani è abbastanza omogeneo. Il punto è che quando ci si iscrive all’università si sceglie un sistema, una città, un luogo in cui vivere, con i suoi servizi, i suoi trasporti, i suoi centri di socializzazione. Nell’ultimo biennio, l’Università di Catania ha registrato +15% e +10% di iscrizioni: stiamo cercando di dare il nostro contributo per ridare slancio al valore aggiunto di questa terra».
Perché, come ha ricordato l’Arcivescovo di Catania Mons. Renna, il primo passo della svolta è la speranza: «Le sfide che ci attendono all’orizzonte sono grandi. Ma abbiamo il dovere di sperare, per noi e per gli altri. A maggior ragione da cattolici, tenendo a mente che non giova mai a nessuno, nella strada verso il bene comune, contrapporre un’ideologia ad un’altra. La città ha bisogno di questo. Di qualità della vita e dei servizi. Di realtà maggiormente professionalizzanti. E di percorsi come quello che il Seminario ha tracciato in questi mesi».
A moderare l’incontro è stato il giornalista Giuseppe Di Fazio.