Giulio Boschetti: «Il mio cattivissimo Scarpia nella Tosca a Taormina»
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Davanti al balcone su cui siedo si erge un promontorio, impaziente di avvolgere le scintillanti acque di Taormina con la sua ombra, nell’attesa che il sole si appresti nella sua corsa pomeridiana verso l’orizzonte. Il lontano sciabordio si mescola, nelle mie orecchie, con l’eco di una lontana Recondita Armonia, la celebre romanza di Mario Cavaradossi. Le musiche di Giacomo Puccini non mi lasciano più da quando ho assistito, pochi giorni prima, alla messinscena della sua Tosca, nel prezioso scrigno del teatro antico di Taormina. L’opera è stata affidata a un cast rinomato, con la cinese Hui He nel ruolo eponimo e Hector Lopez Mendoza nel ruolo del suo spasimante. Ma la sorpresa più piacevole è stata l’interpretazione del baritono Giulio Boschetti nel ruolo di Scarpia, il mostruoso antagonista del dramma storico La Tosca (1887)di Victorien Sardou, da cui Illica e Giacosa derivarono il libretto per l’opera di Puccini.
Lo ammetto: nella Tosca, Scarpia è indubbiamente il mio personaggio preferito. Nella tradizione operistica è forse il più cattivo tra i cattivi, un personaggio a tutto tondo, di cui si può vedere e udire la bramosia erotica, la gola di potere, il sadismo, la religiosità posticcia, persino un pizzico di ironia. C’è da chiedersi quale tra le tante sue sfaccettature sia la più affascinante. «Nel corso degli anni – mi dice Giulio Boschetti, che nella sua personalissima classifica dei personaggi d’opera più affascinanti pone Scarpia al terzo posto, dietro soltanto a Rigoletto e Don Giovanni – anch’io me lo sono chiesto. Ogni volta che sono riuscito a portare in scena questo personaggio ho cercato di metterci qualcosa di nuovo. Ricordo che una volta il regista mi disse di rappresentarlo come se fosse un maniaco della precisione, diciamo un ossessivo-compulsivo. Scarpia mi fa pensare a certi personaggi successivi a Puccini, come i grandi dittatori, sadici e scellerati».
«Immagino che lei, in quanto baritono, abbia interpretato tantissime volte il ruolo del cattivo. Si sente a suo agio in questa veste?» gli chiedo. E lui mi risponde: «Mi meraviglio io stesso di come io riesca a inscenare una cattiveria così profonda quando porto in scena questi personaggi. Ricordo una carissima collega australiana precocemente scomparsa, che fece anche una Tosca con me. Lei piangeva in scena. Lei che era una persona molto dura e austera, si lasciava trasportare fino al pianto. Questa cosa mi ha sempre ispirato. E mi ha spinto a essere il più cattivo possibile». Del resto, essere cantante d’opera significa anche essere attore. Boschetti racconta di essersi formato, sul piano attoriale, tenendo sempre a mente i modi e le espressioni di Gassman, Tognazzi e Mastroianni. E poi ha studiato per due anni con il grande Beppe de Tomasi, che gli ha insegnato a stare sul palcoscenico. «Ho sempre avuto un istinto attoriale, per questo motivo mi presto volentieri ai giochi dei registi» riferisce. Boschetti ha lavorato con nomi come Renzo Giacchieri, Lina Wertmüller e Daniele Abbado, ma tra le collaborazioni più interessanti cita quella con Franco Zeffirelli, regista di una indimenticabile Traviata, in scena a Busseto con la direzione d’orchestra di Plácido Domingo: «Feci una piccola parte, ma in un mese di produzione ho visto bene il suo modo di lavorare. Lui scavava molto nella psicologia dei personaggi e lavorava sulla loro emotività. Punzecchiava gli interpreti su qualsiasi cosa, su qualsiasi parola».
A proposito di regia, un tema scottante e sempre attuale è quello delle regie d’opera attualizzanti, che secondo Boschetti possono risultare un’ottima scelta: «La cosa deve essere fatta con intelligenza. Trasporre tanto per trasporre non ha senso, ma proporre qualcosa di moderno fatto con intelligenza sì, perché no? Non sono assolutamente d’accordo con coloro i quali distruggono a priori i lavori di registi visionari o inusuali. Ben venga l’innovazione». Il cantante svela di aver anche realizzato delle ‘trasposizioni’ di alcune opere famose, in un modo del tutto originale: «La figlia della mia compagna, che adesso ha 13 anni, è sempre stata curiosa del mio lavoro e quindi, quando era più piccola, prendevo i suoi pupazzetti e le sue bambole e sul tavolo inscenavo le opere. Un pomeriggio abbiamo fatto tutto Rigoletto con i suoi Pokémon. Questo per dire che le storie che ci sono nelle opere sono le storie che si vedono nei cartoni animati o nei film. Basterebbe essere accattivanti e attenersi al mondo di oggi per far sì che tanti ragazzini si avvicinino all’opera, senza fargli credere che sia una cosa vecchia, morta o elitaria».
Mentre parla, i miei occhi ritornano sul promontorio, su quell’ombra che adesso si estende fino a sfiorare la riva. Mi viene in mente di chiedergli: «Ha in programma un ritorno in Sicilia?». Sùbito mi risponde: «Magari! Tutte le volte che ci sono stato, mi è sempre rimasto qualcosa di bello. Vivo a Ravenna e posso dire che al Sud c’è un rapporto diverso con la gente, rispetto al Nord. Dal punto di vista dei rapporti umani avete una marcia in più e quindi è sempre bello avere a che fare con i siciliani. L’ho visto anche nell’allestimento di questa Tosca». E mentre lo ringrazio e lo saluto, lo sciaguattare del mare di Taormina incontra adesso, nelle mie orecchie, il maestoso tema di Scarpia, quello con cui, dopo il possente Te Deum, cala il sipario alla fine del primo atto.