La storia di Giuseppe Di Matteo, rapito dalla mafia e barbaramente ucciso, diventa nel film dei due registi palermitani una favola per redimere la giovane vittima dall’oblio della memoria. La pellicola, che ha inaugurato il festival di Cannes, è stata presentata a Catania in un incontro con registi e protagonisti

«Una ventina di anni fa qui in Sicilia abbiamo partorito un campo di concentramento per il quale nessun siciliano merita redenzione» è questa la riflessione che ha spinto i registi Fabio Grassadonia e Antonio Piazza a portare sul grande schermo la storia di Giuseppe Di Matteo, Il 13enne rapito dalla mafia il 23 novembre del 1993 dopo che il padre, Santino Di Matteo, divenne un collaboratore di giustizia. «Il sequestro avvenne a metà degli anni ’90 a chiusura degli anni più terribili, efferati, violenti e disumani per la storia siciliana. Noi non volevamo limitarci a raccontare il fatto di cronaca bensì sublimarlo e riscattare così la memoria del piccolo Giuseppe» spiega Fabio Grassadonia.

«L’idea del film nasce quindi nel 2011, quando ci imbattiamo nel racconto “Un cavaliere bianco” dello scrittore padovano Marco Mancassola, il quale affronta la storia di Giuseppe senza tradirne i fatti, ma trasfigurandoli in una narrazione fiabesca che conduce la vittima verso la luce e gli concede una redenzione. Noi però volevamo una storia che si sviluppasse nei due anni di sequestro e la trama amorosa ci sembrava l’unica possibile per contrastare la disumanità di quel misfatto».

La locandina del film

Nasce così il capolavoro tutto siciliano “Sicilian ghost story”, che ha aperto la settimana della critica a Cannes conquistando il Festival. La pellicola è stata recentemente presentata anche a Catania dai registi, dall’attore e acting coach Filippo Luna e dai due giovani interpreti protagonisti: Julia Jedlikowska (Luna) e Gaetano Fernandez (Giuseppe). «Abbiamo studiato a lungo il caso, gli atti processuali e letto le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia – spiega Piazza – Paradossalmente tutti coloro che sono stati arrestati per questo assassinio hanno scelto di collaborare con la giustizia. Vincenzo Chiodo è stato il primo a rivelare l’uccisione di Giuseppe e il luogo in cui questo accadde, San Giuseppe Jato, luogo di provenienza di Giovanni Brusca».

Giuseppe nei terribili 775 giorni di detenzione è stato trasportato da un luogo ad un altro della Sicilia e ha trascorso gli ultimi giorni della sua vita in una stanza sotterranea a San Giuseppe Jato. Oggi il luogo è noto come giardino della Memoria. «Anche se l’originaria costruzione abusiva è stata discutibilmente restaurata, la storia sua è finita nel dimenticatoio perché scomoda» – commenta il regista.

Il sequestro che avvenne nella totale ignoranza dell’opinione pubblica, perché la famiglia non denunciò immediatamente la scomparsa e di conseguenza la notizia della morte di Giuseppe corrispose al momento della rivelazione, non è raccontato fedelmente nel film perché – come spiega ancora il regista – «sarebbe emerso solo orrore e mancanza di speranza, per riscattarlo era necessario inserirlo in una dimensione fiabesca e ambientarlo in dei luoghi trasfigurati, come il Parco dei Nebrodi, la cui bellezza doveva corrispondere alla bellezza dell’amore dei protagonisti, Luna e Giuseppe».

Ed è proprio l’amore di una coraggiosa e testarda ragazzina a tenere vivo il ricordo di Giuseppe mentre tutti gli altri fingono che la sua assenza sia normale. Un amore che spinge la novella Giulietta a tentare di ricongiungersi più volte al suo Romeo, anche nella morte. Per tutto il film riecheggia un canto di morte e la suspense è elevatissima ogni qualvolta lo spettatore crede di scorgere il corpo del ragazzo in carcasse di animali o tronchi scoperti dal mare dalle forme umane. Le visioni si mescolano alla realtà e tutto appare estremamente intricato come in quel labirinto che è il bosco, come in quella terra ferita che è la Sicilia. Lo spettatore non vedrà un corpo ma gli “amabili resti” lanciati nell’acqua che continuano a galleggiare, quasi opponendosi alla forza gravitazionale dell’oblio e si riscattano in un corpo giovane e luminoso che corre per la spiaggia verso il mare sorridendo. “Giuseppe pensava fossimo angeli e invece eravamo lupi” aveva raccontato un pentito, ricostruendo una realtà che superava già allora l’irrealtà più di ogni narrazione fantastica. Sicilian ghost story vuole essere la bellezza di una fiaba a lieto fine che trionfa sulla bruttezza del malaffare e dell’abusivismo perché forse un giorno potremo rivivere quella terra incantata, ammirando le bellezze al suono del mitico flauto di Pan

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