Non molti anni addietro, nella nostra Sicilia, non era inusuale utilizzare unità di misura locali per stabilire le quantità in gioco, per definire l’ammontare dei prodotti da vendere o comprare o per stabilire la grandezza di un terreno. Così, non è raro trovare negli atti notarili della seconda metà del ‘900 traccia dei tùmuli o tùmmuli (equivalenti a poco più di 1000 metri quadri) per riportare la superficie di un terreno di cui si stava procedendo alla compravendita. Allo stesso modo, nel comprare l’olio al dettaglio, era altrettanto comune che la quantità venisse espressa in cafìsi (dall’arabo Qafiz), unità più difficile da definire dato che dipendeva
dal territorio, in alcune città 12 litri, in altre quasi 17 litri… Potremmo procedere elencando la salma, la quartara, la canna, il rotolo… solo per citare alcune delle unità di misura comunemente utilizzate a Catania e nella Sicilia in generale. Né la Sicilia era peraltro diversa in questo dalle altre regioni italiane, o dagli altri stati europei, ognuno dei quali utilizzava unità di misura personalizzate.

Ancora oggi, in piazza Duomo a Catania,
è visibile una lastra che reca un’incisione
in cui sono riportate antiche unità di misura:
la “tegola” e “la tomaia”


Un fiorire di unità di misura, dunque, che nonostante la standardizzazione introdotta dai sistemi ufficiali, hanno continuato a segnare la vita quotidiana di molti tra gli abitanti della nostra isola. Già dal 1480 con Ferdinando I di Aragona, e poi in tempi più recenti, con i Borboni, a metà dell’800, si era provato a uniformare e utilizzare le unità di misura ufficiali che man mano erano state introdotte nella pratica scientifica. Ma si sa, le abitudini sono restìe a scomparire, così, insieme alle unità di misura ufficiali, anche le unità di misura locali hanno continuato a sopravvivere per molto tempo, anche in tempi recenti.

Il passante che si trovasse in Piazza Duomo a Catania potrebbe trovare traccia di alcune di queste unità di misura proprio su una lastra lavica posta sul prospetto principale del Palazzo degli Elefanti, che ospita gli uffici del Comune. Su questa lastra è possibile scorgere due strane incisioni, che rappresentano in realtà due unità di misura, la tegola e la tomaia, frequentemente utilizzate in Sicilia nei secoli scorsi, per misurare le stoffe o le pelli. E non è strano che queste unità si trovassero incise proprio sulla facciata di questo Palazzo, data la vicinanza al mercato, con la possibilità, dunque, di confrontare con un riferimento oggettivo la quantità di merce acquistata.

In certi contesti è tuttora consueto
l’utilizzo di unità di misura
non comprese nel Sistema Internazionale:
pensiamo ai pollici o al millibar


Storie di altri tempi? Non del tutto, se pensiamo che ancora oggi nei Paesi anglosassoni continuano a permanere unità di misura che non fanno parte del Sistema Internazionale. Nonostante l’introduzione di unità metriche universali, di decreti che già nei secoli scorsi imponevano di uniformarsi a questi sistemi, la gente comune, specie in Gran Bretagna, continuava ad usare sistemi locali, che addirittura erano diversi a seconda del contesto professionale. Come ha osservato il fisico John Barrow in un suo saggio, i birrai prediligevano un tipo di misure di volume, gli ingegneri idraulici un altro; i gioiellieri misuravano il peso in modo diverso dai marinai o dagli architetti. Con qualche inconveniente che si iniziò ad avvertire sempre più nella seconda metà dell’800, con le conseguenze della rivoluzione industriale.

Peraltro, ancora oggi, in certi contesti, si continuano a preferire unità che non fanno certamente parte del Sistema Internazionale. Abbiamo oggi ad esempio una pluralità di unità di misura per esprimere la pressione, tra le quali la meno utilizzata è proprio quella stabilita dal Sistema Internazionale, il Pascal. Così nel linguaggio comune utilizziamo il millibar (ad esempio nel riportare le condizioni meteo) o il bar (che in questo contesto non è il luogo dove chiedere una granita), oppure il psi (pound per square inch) se siamo nell’America del Nord, o ancora l’atmosfera, i millimetri di Mercurio…

E se accettiamo di parlare del nostro televisore esprimendo le dimensioni del suo schermo in pollici, con più difficoltà comprendiamo l’opportunità di esprimere le distanze per le corse dei cavalli in furlong, una unità di misura che ha richiesto in Gran Bretagna un Atto ufficiale governativo, nel 1985, per scoraggiarne l’uso.

L’importante, si dirà, è comunque stabilire la corrispondenza tra una unità di misura e l’altra, per poter passare, mediante le equivalenze che abbiamo imparato a scuola, e che, mi dicono, sono insegnate ancora oggi, da una unità di misura all’altra. Ma, ancora più importante, è specificare dopo il numero anche la corrispondente unità di misura, senza la quale il numero non avrebbe un significato. Banalità? Se dal gommista nessuno di noi specifica di voler gonfiare le gomme dell’auto a 2.2 bar (perché temiamo lo sguardo sospettoso del gommista), e ci limitiamo a dire “2.2, per favore”, ci sono altri contesti in cui la mancanza dell’unità di misura potrebbe creare qualche problema, e non da poco.

Come quello avvenuto nel 1999 con la sonda Mars Climate Orbiter: dopo circa 10 mesi di viaggio, la sonda, lanciata l’11 dicembre 1998, stava per entrare in orbita marziana. Il motore principale venne acceso per alcuni minuti, proprio per modificare la traiettoria ed entrare in orbita, e il veicolo venne a trovarsi, rispetto alla direzione della Terra, dietro il pianeta Marte, interrompendo per un po’, come previsto, le sue trasmissioni radio. La ripresa del segnale, tuttavia, non ebbe luogo, e i contatti vennero definitivamente persi: risultò che la sonda si trovava quasi 100 km più in basso rispetto a quanto il controllo missione riteneva, e si schiantò sul suolo marziano. Malfunzionamento dei motori? Guasto meccanico o elettrico? Nulla di tutto questo. L’analisi del fallimento di questa missione, costata 125 milioni di dollari, mise in evidenza che c’era una discrepanza tra le unità di misura utilizzate dal gruppo esterno che controllava il funzionamento del veicolo e il team della NASA. Il primo aveva dato per scontato che i suoi numeri fossero espressi in unità britanniche (miglia, piedi, libbre per esprimere la forza…), il secondo, come il resto della comunità scientifica, aveva interpretato quei dati come espressi in unità del Sistema metrico decimale, dunque chilometri e non miglia per esprimere le distanze. Il risultato? Una differenza tra miglia e chilometri che era sufficiente a portare la sonda su un’orbita che avrebbe intercettato inesorabilmente il suolo marziano. Come purtroppo puntualmente avvenne, dimostrando che le unità di misura, locali o internazionali che siano, sono importanti.

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