“Il destino oltre il mare”, un romanzo per quando fuori urla la bufera
Qualche giorno fa, nell’entroterra siciliano, ha piovuto per tutta la notte. Acqua, vento, tuoni. E ha piovuto anche l’indomani mattina, senza un attimo di tregua. Ore intere trascorse a guardare fuori dal balcone senza vedere niente, con il mondo offuscato al di là del maltempo, senza un orizzonte nel quale perdersi per un po’.
Sono stati momenti di tensione collettiva, allerta meteo e notiziari poco incoraggianti, che ho pensato potessero essere accompagnate – o mitigate – da un passatempo efficace come la lettura. È così che ho deciso di riscoprire la Sicilia non cercando il profilo di una casa di fronte alla mia, bensì immergendomi fra le pagine di una saga familiare firmata Luigi Biondo, che è uscito pochi giorni fa per i tipi di Caffèorchidea.
Si intitola Il destino oltre il mare, un titolo che mi è sembrato particolarmente adatto alla giornata di tempesta e di onde alte di cui stavo sentendo parlare in tv, e che racconta in prima persona la storia di un uomo intenzionato a mettersi sulle tracce della sua famiglia, di una storia dimenticata, della Storia con la maiuscola. Parte da Trapani, dove è coinvolto nel restauro della cappella dei Pescatori della Basilica cittadina, e arriva dall’altra parte del Mediterraneo, a Tunisi, dove il protagonista era cresciuto da bambino.
È una vicenda ricca di dati e di date, che ci servono da coordinate e che ci aiutano a navigare meglio fra vite diverse, periodi storici lontani fra di loro ed episodi che apparentemente sembrano non avere nessuna attinenza, salvo poi rivelarsi legati dallo stesso filo rosso. E il rosso non è un colore casuale, dal momento che tutto sembra partire o ricondurci alla scoperta di un banco di corallo avvenuta nel 1535, senza però portarci mai troppo distanti da casa.
Ma non è tutto, perché Il destino oltre il mare è specialmente un libro fatto di oscillazioni e di ipotesi, di ricordi e di storie da riportare alla luce, che emergono dalle profondità della pagina come se si trattasse davvero di un abisso marino, pronto a fagocitare qualunque cosa gli capiti a tiro e a restituircela solo più avanti, dopo tante ricerche e speranze, quando quasi avevamo smesso di crederlo possibile.
Ne viene fuori quindi una saga familiare, che al tempo stesso assomiglia alla radiografia di un intero popolo – anzi, di almeno due, al di qua e al di là della costa –, descritto nelle sue molte contraddizioni con un tono che non puzza mai di giudizi o di rancore, e che al contrario ci guida verso meravigliose scoperte e odori di brezze marine, finché il passato e il presente non arrivano a toccarsi come farebbe un’onda con la sua spiaggia.
Non a caso, d’altronde, il romanzo si chiude con un capitolo chiamato Il ritorno a me stesso, in cui il protagonista come un novello Ulisse (e come un Ulisse molto diverso da quello che abbiamo imparato a conoscere secoli fa) capisce, «complice ancora una volta il destino, che il mio obiettivo non era stato quello di condurre un eroe a una meta, come negli scritti epici, ma approdare sano e salvo, più esperto della vita, al mio io originario, nuovo punto di partenza della mia vita», quasi in una sorta di ritorno eterno, che si rivela sempre diverso dal punto di partenza.
Dalle sue pagine sono uscita nuova anch’io, rinfrescata, rinsavita. Salvata perfino dalla bufera, che intanto fuori dalla finestra sembra essersi placata. Per un attimo, quando mi riavvicino all’orizzonte e riconosco i dettagli di sempre, mi chiedo se la sensazione di essere stata trascinata qua e là nel tempo e nello spazio sia stata dovuta al vento di fuori o alle parole del testo, e subito dopo capisco che forse fra le due cose non c’è poi chissà quale differenza. Il viaggio, per quanto immaginario e temporaneo, è stato reale, ed è servito a portarmi al di là della pioggia.
Se il maltempo dovesse quindi ritornare, io ve l’ho detto: per attraversarlo, capirlo un po’ di più e superarlo davvero, la strada migliore potreste trovarla fra i capitoli di un piccolo grande romanzo che vi aspetta in libreria.