«Forse io dovevo essere la figura scandalosa di Sanremo 2022 ma non mi sembra che ne manchino. Forse sono la donnina più normale, solo molto alta». Drusilla Foer, il conduttore “en travestì” terzo/a compagno/a di Amadeus sul palco dell’Ariston è divertita dalle polemiche seguite al “battesimo” inscenato sul palco da Achille Lauro e dalle reazioni contrastanti della comunità Lgbtq sull’intervento di mercoledì di Checco Zalone, che ha inscenato una favola contro l’omotransfobia.

«Ognuno può esprimere le proprie convinzioni con la propria arte», commenta Drusilla, nobildonna toscana, ironica e sprezzante, dalla chioma argentata, alter ego di Gianluca Gori. «Non ho un’opinione molto precisa sul lavoro di Zalone, ma se questo solleva un dibattito e porta qualcuno ad avere una convinzione, credo sia un momento di lavoro. Io sono spesso disposta a cambiare la mia convinzione, ci sono casi in cui non so se una cosa mi piaccia molto o poco. Credo che Zalone abbia voluto smuovere le acque e io sono contenta se ci sono acque smosse. Una tv di Stato che consente questo è una televisione irrorata di civiltà. Sono contenta che sia successo ciò».

Agli inizi degli anni sessanta, Umberto Bindi presentò “Non mi dire chi sei”. Pagò a caro prezzo l’essere omosessuale

Artista, cantante, attrice e pittrice, Drusilla Foer è a Sanremo una “Magnifica presenza”, per dirlo con il titolo del film di Ferzan Ozpetek nel quale ha recitato. Un «messaggio di inclusività» in un Festival sempre più Lgbtq. Tant’è che è una canzone su un amore diverso la favorita di questa edizione numero 72. È Brividi, la ballata scritta e interpretata da Mahmood e Riccardo Fabbriconi, in arte Blanco. Intreccio di voci maschili sul timore di amare e sbagliare. «Un brano arrapante», come ha scritto sui social Mario Venuti, salito in pochi giorni al quinto posto della Top 20 mondiale di Spotify. Ed è senza indicazione di genere anche Inverno dei fiori di Michele Bravi, il cui “coming out” risale al 2017. Oppure pensiamo anche alla coppia “queer” La Rappresentante di Lista. «Mi sembra che siano venute a galla, da ospiti e interpreti, la volontà e la determinazione a parlare di certi temi», concorda Drusilla. «la musica è un veicolo emotivo e se esprime in modo emotivo certi contenuti è già una vittoria sia dei contenuti che della musica».

Chi pensa però che certi temi e, in particolare, l’amore omosessuale non siano mai stati cantati prima sul palco dell’Ariston commette un errore. Già agli inizi degli anni Sessanta, timidamente qualcuno tentò di sfidare i pregiudizi. Nel 1961 Umberto Bindi, cantautore raffinato che proveniva dalla scuola genovese di Fabrizio De André, Bruno Lauzi e Gino Paoli, presentò Non mi dire chi sei. Pagò a caro prezzo l’essere omosessuale. Da quel giorno cominciò il suo declino. D’altro canto, nell’Italia democristiana e bigotta di allora, era difficile anche parlare liberamente d’amore. Due anni prima, la cantante Julia De Palma era incappata nella censura per un eccesso di sensualità nell’interpretazione di Tua, canzone che, secondo la critica, lasciava sottintendere un rapporto fisico tra un uomo e una donna. Un incidente che pesò sulla carriera della cantante milanese.

Negli anni Duemila, l’amore omosessuale non è più un tabù. Nel 2008 ne parlano “Ore o ore” di Valeria Vaglio e “Il mio amico” di Anna Tatangelo

Bisogna aspettare gli anni Settanta, quando la furia iconoclasta del punk si diffondeva nel mondo, per ritrovare un testo con riferimenti omosessuali. “Soldati con i fucili in mano” che si “incontravano di notte per non farsi vedere, cantavano e facevano l’amore” cantava la “monella” Donatella Rettore in Oh Carmela nel Sanremo 1977. Tredici anni più tardi, nel 1990, saranno i Pooh, con Uomini soli, ad accennare all’omosessualità: “Ci sono uomini soli… per donne che li han rivoltati e persi, o solo perché sono dei diversi”. I tempi sono maturi per un altro passo in avanti, e nel 1993 Grazia Di Michele e Rossana Casale incrociano le voci per cantare Gli amori diversi, da molti interpretato come il primo a tematica lesbica nella storia del Festival. Nel 1996 niente più giri di parole: Federico Salvatore con Sulla porta parlò del sofferto “coming out” di un figlio. Ma la censura si impose e il verso “Sono diverso, mamma, un omosessuale” divenne “Sono un diverso, mamma, e questo ti fa male”. Almeno fino alla serata finale, quando Salvatore cantò la versione originale.

Negli anni Duemila, l’amore omosessuale non è più un tabù. Nel 2008 sono due i brani che ne parlano: Ore ed ore di Valeria Vaglio che raccontava l’amore lesbico e Il mio amico di Anna Tatangelo, che suonava così: “Il mio amico che non dorme mai di notte / Resta sveglio fino a quando da mattina / Con il viso stanco e ancora di po’ di trucco lascia i sogni chiusi dentro ad un cuscino / Il mio amico … fa di tutto per assomigliarmi”. E non mancarono le polemiche quando Povia nel 2009 cantò Luca era gay «e adesso sta con lei».

Adesso la prossima “rivoluzione” del Festival potrebbe essere quella di invertire i ruoli conduttore-valletta. «Sarebbe molto ganzo ma io sono per la meritorcrazia» sottolinea Drusilla

Si arriva al 2013 quando la storia d’amore di un uomo per un altro uomo viene portata sul palco da Renzo Rubino ne Il postino (amami uomo). Due anni dopo, vince il Premio Lunezia per Sanremo per il valore musical-letterario la canzone Io sono una finestra cantata da Grazia Di Michele e Platinette, dedicato a tutte le persone che hanno sofferto per il travaglio interiore o sono state discriminate per il proprio orientamento sessuale. Si arriva al 2017 al “coming out” di Michele Bravi con Il diario degli errori, che gli valse il quarto posto.

Adesso la prossima “rivoluzione” del Festival potrebbe essere quella di invertire i ruoli conduttore-valletta. «Sarebbe molto ganzo se la prossima edizione del Festival fosse condotta da sole donne. Ma io sono per la meritocrazia», tiene a sottolineare Drusilla. «Certo sarebbe interessante vedere un punto di vista femminile sulla musica e dodici bei vallettoni sul palco… A me piacerebbe anche un papato donna, vado oltre. Bisogna provare tutto. Ora mi guardano male…».

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