Il mio Grand Tour in Sicilia sulle orme di un pittore norvegese vissuto 200 anni fa

Le compagnie aeree low cost ci danno, da qualche decennio, la sensazione che viaggiare sia alla portata di tutti, che ognuno possa decidere di passare il fine settimana in qualsiasi capitale europea, come se si facesse una gitarella fuori porta per tornare a casa la sera. Poi basta un virus per cancellare questa sensazione, e le foto su Instagram, che ci vedevano davanti alla Tour Eiffel, tra le strade di Amsterdam o ai piedi del Partenone, si riducono a un sorriso amaro, nascosto da una mascherina, nella spiaggetta sotto casa o dai parenti in campagna. Si viaggia con la fantasia, in attesa di riprendere il volo. 

Palermo; Thomas Fearnley, 1833, Nasjonalmuseet Collection

E proprio mentre fantastico e curioso avidamente nell’archivio internet della Galleria Nazionale di Oslo (attualmente chiusa e in procinto di trasferire le opere in una nuova struttura) e in quello della Biblioteca Nazionale a Oslo, saltano fuori delle immagini molto familiari. Il profilo dell’Etna visto dal Teatro Greco di Taormina, la costa palermitana ed altri paesaggi conservati vivissimi nella mia memoria. Quelli che mi si presentano sotto gli occhi sono i disegni di Thomas Fearnley, paesaggista romantico norvegese, vissuto nel diciannovesimo secolo, che decise, nel 1833, di fare un viaggio di studio nella penisola italiana, soffermandosi in modo particolare sulle caratteristiche paesaggistiche della Sicilia di quel tempo. Andando più a fondo con la ricerca, oltre ai disegni, riesco a trovare e a tradurre dal danese la cronaca del viaggio in Sicilia scritta da un amico dello stesso pittore e riportata nella biografia a cura dello storico norvegese Sigurd Willoch. Dai documenti si intravede la straordinaria vivacità culturale e commerciale della Sicilia dell’epoca, una Sicilia stracolma di viaggiatori e commercianti inglesi e francesi. Il viaggio ebbe inizio a Palermo, dove l’artista scandinavo arrivò in battello a vapore da Napoli, insieme con un gruppo di amici. Fatto curioso, proprio in quell’anno la malaria e la peste imperversarono nell’isola e proprio uno di loro si ammalò. 

Teatro greco di Taormina e vista dell’Etna; Thomas Fearnley, 1833, Nasjonalmuseet Collection

L’artista disegna avidamente le coste siciliane, le barche nel porto, i monumenti storici, dei quali aveva sentito parlare dagli altri viaggiatori europei. Selinunte, Segesta e poi Trapani e Marsala sono le tappe successive, la stessa Marsala, patria del vino, che proprio nel 1833 ha dato i natali alle cantine dei Florio e che ritroviamo probabilmente in uno dei suoi schizzi. Poi è la volta di Sciacca e di Agrigento, in groppa ai muli che portavano i bagagli del gruppetto di viaggiatori. Quindi Licata, i territori di Terranova (l’attuale Gela) e Palazzolo, prima di arrivare a Siracusa, dove gli amici si tuffarono nel mare cristallino. Da lì ripresero, dopo alcuni giorni di pausa, verso Catania. Dopo aver scalato l’Etna arrivarono a Taormina, da dove incantato, Fearnley, cominciò a produrre una serie di disegni che vedono il vulcano protagonista nella cornice del Teatro Greco. Infine, da Messina, tornarono in battello verso Palermo. Dopo alcune settimane di studio nel capoluogo, il suo viaggio si concluse a causa della morte del padre che lo costrinse a rientrare in patria. 

Teatro Greco di Siracusa, Thomas Fearnley, 1833, Nasjonalmuseet Collection

Per qualche ora, ho rivissuto la mia Sicilia, ho avuto consapevolezza, come gran parte di noi, che viaggiare è un bisogno primario. Quando tutto sarà passato, ritorneremo a farlo, e forse saremo più consapevoli e responsabili verso il territorio che abitiamo, lo valorizzeremo di più. Me lo auguro. Mi auguro, dopo quasi due anni di assenza, di poter tornare in Sicilia e di rivivere e rivedere per qualche momento le cartoline che ho in mente e che ricerco nella mia realtà quotidiana qui in Norvegia, facendo il confronto con un territorio estremamente diverso. Mi auguro di poter ripetere il “Grand Tour” che feci otto anni fa in Sicilia prima di trasferirmi definitivamente in Norvegia e mi prefiggo di ricalcare stavolta le tappe del norvegese Fearnley, vissuto 200 anni fa, magari in groppa ad un mulo, ma con la fotocamera appesa al collo.

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