Vanina Guarrasi è tornata in libreria e con lei anche quella Sicilia autentica che ha affascinato i lettori di “Sabbia nera” e “La logica della lampara”. Nel nuovo romanzo di Cristina Cassar Scalia, “La salita dei Saponari”(Einaudi 2020) il vicequestore si trova alle prese con un intrigo internazionale e con i fantasmi del suo passato. Abbiamo intervistato per i nostri lettori l’autrice.

Il suo libro sta riscuotendo un grande successo, tanto che, a poche settimane dalla pubblicazione, è già in ristampa. In che modo il romanzo giallo può aiutarci ad affrontare il difficile momento storico che stiamo vivendo?
«Il romanzo giallo intrattiene il lettore guidandolo in un mondo diverso. È uno strumento di evasione che ci consente di immergerci in una dimensione totalmente diversa da quella in cui viviamo, sebbene la società descritta abbia le medesime caratteristiche di quella reale. Si segue una storia con il fiato sospeso e si instaura un duello tra scrittore e lettore; quest’ultimo tenta infatti di individuare il colpevole prima che sia lo scrittore a rivelarlo, d’altro canto l’autore si impegna nel creare l’effetto sorpresa, capovolgendo le situazioni e svelando solo alla fine l’assassino. Questo meccanismo è determinante per la riuscita o meno di un giallo e il risultato finale potrà essere a favore dello scrittore o del lettore. Questo genere letterario rispecchia soprattutto le parti più oscure della società, inventando personaggi molto negativi e un super cattivo, che ne sono l’essenza. Quello che credo piaccia di più ai lettori è che alla fine il cattivo viene sempre scovato e catturato».

Foto Marco Ficili

Cosa significa raccontare la Sicilia attraverso un romanzo giallo? E perché questo genere più di ogni altro riesce ad incuriosire e far innamorare i lettori dell’isola, come dimostra il caso “Montalbano”?
«Raccontare la Sicilia per uno scrittore siciliano non significa semplicemente descrivere un paesaggio o delineare uno sfondo per la trama. La Sicilia diventa prima di tutto un personaggio. Il giallo poi si presta a quest’ambientazione perché la nostra isola è fatta di luci ed ombre, con un passato arzigogolato e un’atmosfera perfetta. Nell’immaginario comune la Sicilia è un’isola incendiata dal sole pressoché tutto l’anno, e tende per questo a dare l’immagine di un paradiso in terra. Ma tra i paesaggi assolati ci sono molte zone d’ombra che aiutano a creare l’atmosfera perfetta per il giallo».

In che modo è possibile raccontare Catania e la Sicilia ai lettori che non la conosco senza cadere nello stereotipo?
«Una cosa a cui tengo molto è non raccontare una Sicilia da cartolina. Nei miei romanzi emergono tutti gli elementi positivi che questa terra possiede e se un lettore, dopo averli letti, decide di visitare l’isola, so che ho raggiunto il mio obiettivo. D’altra parte non voglio che ne venga fuori un’immagine falsata, questa terra ha delle criticità che io racconto e che certamente i siciliani possono riconoscere. Basta quindi raccontare la Sicilia così com’è per non cadere nello stereotipo. I miei romanzi poi sono ambientati principalmente nella Sicilia occidentale, sebbene Vanina sia palermitana. Ma sono molto contenta di questo perché il mio intento era raccontare le numerose sfaccettature della Sicilia, che si riflettono nel linguaggio, nella cucina, nei paesaggi. Certo Catania rappresenta una Sicilia un po’ più metropolitana, c’è una società moderna che ruota intorno a Vanina, ma anche personaggi più tradizionale, soprattutto tra le persone più anziane. Io racconto Catania e la Sicilia nella sua molteplicità e vivacità».

L’ipotesi di una trasposizione televisiva dei romanzi è sempre più concreta. Cosa ne pensa?
«È ovvio che un prodotto televisivo non potrà mai ritrarre fedelmente il libro e uno scrittore deve far pace sin dall’inizio con questa evidenza. Credo potrò rispondere meglio quando quest’ipotesi si trasformerà in realtà e potrò vederne i frutti. Sicuramente è molto emozionante pensare che quello che hai scritto possa essere trasmesso in televisione e i personaggi che hai inventato diventino uomini in carne ed ossa, assumendo delle sembianze specifiche e non più quelle immaginate da me o dai lettori. Credo comunque che ogni scrittore sia felice all’idea che i propri personaggi prendano forma».

A luglio uscirà “Tre passi per un delitto”, scritto con Maurizio De Giovanni e Giancarlo De Cataldo, come è nata l’idea di scrivere un romanzo a 6 mani e cosa ha significato per lei?
«Si tratta di un’idea di Maurizio e Giovanni che hanno poi deciso di coinvolgermi. Posso dire che è stata un’esperienza interessante e divertente che mi ha permesso di sperimentare un altro modo di concepire la costruzione di una trama, dato che ognuno di noi ha raccontato la stessa storia dal punto di vista di un personaggio. Sicuramente sono felicissima di avervi partecipato».

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