Gabriele D’Annunzio, dall’alto della sua concezione artistica decisamente elitaria, non fu certo un tipo accondiscendente. Nel mirino delle sue critiche, schiacciati dal suo travolgente carisma, finirono numerosi, prestigiosi intellettuali. Poche furono le eccezioni capaci di conquistarne gli entusiasmi. Tra queste, un pittore siciliano la cui fama presso il grande pubblico non fu mai all’altezza del suo valore. Francesco Lojacono da Palermo, d’altronde, un artista qualunque non lo è mai stato. Non soltanto in virtù del fascino che seppe esercitare sulla fantasia del poeta vate (che non perdeva occasione di recensire appassionatamente i suoi quadri) ma anche per le sue vicissitudini da giramondo che lo resero, ad un certo punto, un vero ambasciatore della Sicilitudine a livello internazionale a cavallo tra XIX e XX secolo. Impresari, galleristi, aristocratici (tra cui i Savoia), borghesi facoltosi e persino due imperatori fecero a gara per accaparrarsi il talento peculiarissimo di cui era dotato, grazie al quale diede vita a scorci paesaggistici memorabili e che gli valse, per la maestria nell’uso della luce, gli appellativi quasi mitologici di “Pittore del sole” o “Ladro del sole”.

E dire che Lojacono, (figlio di Luigi, altro pittore) aveva rischiato di vedere conclusa la sua sfavillante carriera prima ancora di iniziare. A soli 22 anni, nel 1860, convinto probabilmente come tanti altri siciliani dalle promesse poi disattese di Bixio e Garibaldi, aveva partecipato alla spedizione dei Mille. Durante la Battaglia del Volturno venne persino ferito, ma la sua tempra d’acciaio gli consentì di portare a termine lo scontro. La Storia, evidentemente, aveva per il nostro conterraneo ben altri progetti. Quella dell’artista palermitano fu una vera escalation: nel 1861 fu tra i partecipanti alla prima mostra d’arte tutta italiana presso Firenze, mentre dall’inizio degli anni ‘70 gli furono dedicati, anche in esclusiva, spazi espositivi di un certo grido. Dalla prima Biennale di Venezia al Salone di Parigi (dove espose i risultati dei suoi studi di fotografia, pratica che utilizzò spesso, e in maniera rivoluzionaria per l’epoca, anche come momento preparatorio alla pittura) passando per Londra, Vienna e Berlino, dove venne ospitato presso le fastose corti di Francesco Giuseppe I e Guglielmo I di Germania. Ma come spiegare un simile successo? Come giustificare una tale attenzione nel periodo storico in cui, parallelamente, operavano maestri come Courbet o Manet e cominciava a muovere i primi passi la dirompente concezione artistica degli Impressionisti? Probabilmente prendendo coscienza del fatto che lo Lojacono fosse più di un “semplice” realista. Dalle sue talvolta grandiose e altre volte intime vedute siciliane, lo spettatore non può che trarre un profondo desiderio di immedesimazione, un istinto di fusione totale e sentimentale con le scene ritratte. Perché nessuno dei colori e dei segreti ad essi legati mancano all’appello: c’è l’azzurro del mare che cela, sotto la sua apparente piattezza, il furioso ribollire dei suoi abitanti e delle loro passioni, dei pescatori in lotta con la natura per agguantare la sopravvivenza e delle vele bianche ansiosamente in cerca di ciò che si trova al di là dell’orizzonte; c’è il verde rigoglioso e rassicurante della fertile Conca d’Oro, mischiato al giallo delle strade sterrate e degli aridi pascoli estivi divorati dalla canicola; c’è il nero di ruderi ancora orgogliosi della loro maestosità nonostante si trovino in stato di abbandono e di decadenza; c’è il bianco delle nuvole. Il bianco della purezza di sentimenti. Lo splendore luminoso di una terra ridente a dispetto delle sciagure, delle fatiche e della miseria. Mai nascoste, ma dolcemente armonizzate.

Lojacono morì nel 1915 nella sua Palermo, con gli onori dovuti a colui che ben presto venne riconosciuto come il miglior paesaggista siciliano. Come colui che seppe incastonare, restituire e promuovere l’incanto immortale di un’intera terra. Che, attraverso il filtro del suo sguardo, mise miracolosamente d’accordo quasi tutti i critici del settore, e non solo. Le opere dell’artista isolano somigliano davvero ad un biglietto da visita, ad un riflesso caloroso e trasparente del nostro essere e della nostra umanità. Una ulteriore, ennesima dimostrazione di quanto vincente possa essere la parte migliore di noi stessi.

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