Il cantautore e polistrumentista etneo pubblica il suo primo album da solista sotto la supervisione di Cesare Basile. «È il sunto delle mie esperienze», dice l’artista dalle diverse vite. A metà strada tra Battisti e Colapesce, Tenco e Dente. Un segnale positivo in una città che sembra trovare nuova linfa dopo un periodo trascorso in balìa di inascoltabili e anonime cover band

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]C[/dropcap]atania non esiste» recita il titolo di una compilation pubblicata lo scorso giugno. Un titolo forse provocatorio, sicuramente sbagliato. Perché, come al suo interno confermava la stessa raccolta, la città etnea continua a lanciare lapilli nel mondo musicale. Il problema – ed è questa la mistificazione dei curatori del progetto musicale – è che a Catania non esistono imprenditori illuminati. Dopo Francesco Virlinzi, grazie al quale per un momento la città sognò di diventare davvero la Seattle d’Italia, nessuno è riuscito a raccogliere il testimone. Scomparso l’unico principe illuminato, sono rimaste famiglie avide, intenzionate soltanto a gestire le proprie funzioni e responsabilità come bottino di guerra. Così è stato nella sanità, nell’università, nell’editoria, nella cultura, nella politica. E così anche nella musica.

Da Seattle, città smeraldo americana, Catania resta distante per clima (in meglio) e mentalità imprenditoriale (in peggio). Non certo nel fermento culturale. Che (r)esiste. In questo senso, “Aut de Gamme” è un album che invia segnali positivi dal fronte della canzone

Dalla città smeraldo americana Catania resta distante per clima (in meglio) e mentalità imprenditoriale (in peggio). Non certo nel fermento culturale. Che (r)esiste. Nascono nuovi locali che riaprono alla musica originale, dopo un periodo trascorso in balìa di inascoltabili e anonime cover band. Segnali incoraggianti per musicisti che non intendono calpestare la propria creatività per seguire la affollata strada che porta al talent o alla piazza di qualche sagra di paese. Sì, Catania (r)esiste. In band come Babil on Suite, Diane and the shell, Caleidø; in cantautori come Cordio o Felice Briguglio; nella voce di Samuel Pietrasanta, nel rap di L’Elfo, nella world music della Jacarànda Orchestra, nel jazz di Dino Rubino e di Giuseppe Asero.

Felice Marsili e Cesare Basile
Felice Marsili e Cesare Basile in Studio

“Aut de Gamme” è il titolo, ad esempio, di un album che invia segnali positivi dal fronte della canzone: si ha l’impressione di un cantiere aperto in cui febbrilmente si lavora intorno a una idea giusta. Una sensazione che rende ottimisti per il futuro. L’autore è Felice Briguglio, cantautore e polistrumentista, «catanese immigrato» si definisce ironicamente, riferendosi alle sue origini di Belpasso. Ha attraversato diverse vite: dall’hard rock in versione anglosassone degli One Eye Dog e poi più nostrana con i FLX alla musica elettronica come Mondo Terminal per approdare a una sperimentazione che mette insieme tutte le precedenti esperienze, Battisti e Luigi Tenco, il cantautorato-indie e Ennio Morricone, Manu Chao e il Sudamerica, blues e valzer, cowboys e indiani. C’è tutto questo in “Aut de Gamme”, l’album con cui Felice Briguglio, in arte “Felice Marsili De Medici”, debutta a 42 anni il prossimo 16 dicembre.

Marsili, Aut de Gamme
La copertina dell’Album

Briguglio gioca con le parole. Nel nome d’arte: «Marsili è il vulcano che si trova al largo delle Isole Eolie: è sommerso, è ancora attivo, ma pochi sanno che esiste… Un po’ mi rappresenta. Mentre De Medici è un richiamo al Rinascimento, che appare oggi tanto prezioso quanto lontano e irriproducibile, in cui l’uomo era centrale e le doti creative, l’intelligenza e l’amore per l’arte erano molto valorizzate. Forse può apparire un po’ altezzoso, mi sono ispirato a gruppi come Franklin Delano». Il gioco continua nel titolo del disco: con una “h” iniziale ha un significato (“di fascia alta”), «senza, assume un altro senso» spiega l’autore. «Diventa un “aut aut”». Un monito, un ultimatum. Forse per sé stesso. Che già un treno importante lo ha perso. «Con la band FLX, grazie alla collaborazione con Giorgio Canali, siamo arrivati sulla soglia di registrare un album con una etichetta discografica importante e del palco dell’Heineken Jammin’ Festival». Un ricordo che riapre una ferita ancora non rimarginata. La fine di quel progetto segnò una profonda delusione non solo artistica, ma umana. S’infransero un sogno e, soprattutto, una grande amicizia.

Cesare Basile, tra chitarre grattate, organi hammond e ritmi da carrettera, lo ha incanalato nella new wave del cantautorato indie. Certa morbidezza del suono, uno stile intimista di scrittura, l’essenzialità nei testi, pongono Felice Briguglio tra Colapesce e Battisti, tra Dente e Tenco, tra Motta e gli chançonnier francesi

Agli inizi, inseguendo il modello Uzeda, Felice Briguglio voleva erigere un potente muro di suoni. Poi, nel periodo elettronico parigino, seguito allo scioglimento degli FLX, è andato alla ricerca dell’apocalisse sonora. Adesso, complice Cesare Basile che ha curato la produzione del disco, ha cucinato il meno possibile le sue canzoni, per provarle al naturale, quasi crude. «Inizialmente mi ero rivolto a Tony Canto» confessa. «Mi ero innamorato di Paolo Conte, delle sue fascinazioni sudamericane. Volevo fare un album inserendo rumbe e milonghe». Troppi impegni per il chitarrista messinese, così Felice bussa alla porta dello Zen Arcade, lo studio di Basile, che, tra chitarre grattate, organi hammond e ritmi da carrettera, lo incanala nella new wave del cantautorato indie. Certa morbidezza del suono, uno stile intimista di scrittura, l’essenzialità nei testi, alcuni ispirati alla tecnica haiku della poesia giapponese, come nella scelta degli arrangiamenti, pongono Felice Briguglio tra Colapesce e Battisti, tra Dente e Tenco, tra Motta e gli chançonnier francesi, tra le dissonanze folk-punk dell’iniziale “Ventre molle” e il malinconico valzer di “Grandi artisti della valigia”, ovvero «gli amici con i quali ci siamo divisi dopo la Maturità, che sono andati via dalla Sicilia con la scusa dell’Università».

Felice, invece, sebbene “le sigarette di Catania sono noia ed emicrania” (canta in “Le sigarette di Milano” nell’EP “Finalmente normali”), trova “il mio rifugio alle porte della Valle del Bove” (rivela in “Fiore di diamante”). «È importante partire, fare esperienze fuori dalla Sicilia, ma alla fine le radici sono una lenza alla quale non puoi sfuggire»

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