Il ritorno dei Lautari
nel “Paese di tri soddi”

In tempi di zone rosse e distanziamento, l’appuntamento per la chiacchierata è in remoto. Via Skype, anche se i Lautari, come cantano, sono “fora tempu” e “Facebook e Whatsapp ancora li staiu capennu / e sacciu sulu adduma e astuta ndo telecomando / Lu me telefonino è ancora chiddu cu l’antinna e tutti li canzoni mi li scrivu cu la pinna”. A forza di Dad (la famigerata didattica a distanza) e di prove in streaming, hanno tuttavia preso ormai confidenza con la tecnologia. Sono pigri, fondamentalmente, i Lautari. Seguaci della filosofia del lento e quieto vivere: «Non fare mai oggi quello che puoi fare domani», teorizza Gionni Allegra. Così sono trascorsi dieci anni per dare un seguito a C’era cu c’era, l’album registrato per la Narciso Records con la complicità di Carmen Consoli.

Da due anni circolava la voce di un nuovo lavoro. Ma ormai sembrava una fake news. Invece, accadrà: il 19 febbraio la band catanese pubblicherà un album di inediti. Titolo? Fora tempu, appunto. Lo stesso del singolo che lo ha annunciato. Nome anche della corrente filosofica che predica la lentezza, alla quale hanno aderito Gionni Allegra che canta e pizzica bassi e plettri, Salvo Assenza ai fiati, Puccio Castrogiovanni che canta e suona la fisarmonica e il marranzano, Marco Corbino alle chitarre, Salvo Farruggio che percuote il percuotibile, ovvero i Lautari.

«Noi “foratempisti” siamo così, se tutti ci mettono due anni per fare un disco, noi impieghiamo sette/dieci anni. Siamo lenti, ma inarrestabili!», scherza Allegra. «Ci dà fastidio il presenzialismo a tutti i costi che oggi dilaga attraverso i social media». «Per noi l’idea di chiuderci per alcuni giorni in sala per registrare è improponibile, sarebbe stressante», aggiunge Marco Corbino.

Fora tempo nasce nei ritagli di tempo, senza inseguire logiche commerciali, lasciando marinare testi e suoni, aggiungendo ogni giorno un nuovo tassello agli arrangiamenti, cesellando ogni suono. Alcune delle canzoni contenute nell’album sono state abbozzate decine di anni fa. Come vini di prestigio, le hanno fatte riposare e affinare in botti di rovere, aprendole soltanto quando hanno raggiunto la maturità. E ogni canzone porta in sé una grande varietà di profumi. È il caso di Salti nel tempo, la canzone simbolo dell’album insieme alla title-track. «Quando entrai nel gruppo sei anni fa, mi chiesero di portare un pezzo mio», ricorda Corbino. «Gli presentai questo brano, Salti nel tempo, che mi rappresentava molto. Io ho adorato il film Ritorno al futuro e quindi mi piace il concetto di saltare nel tempo. Che, tradotto in musica, significa continui cambi di tempo. Poi Puccio Castrogiovanni ha aggiunto un testo struggente». Quasi un lamento, in cui l’autore del testo immagina le ultime parole di Pier Paolo Pasolini prima di morire.

I “salti nel tempo” continuano in tutto l’album, che sorprende per la varietà. D’altronde i Lautari sono anime antiche con un cuore moderno. Musicisti girovaghi, come suggerisce il nome che si sono scelti nell’ottobre del 1987. E da oltre trent’anni l’ensemble catanese si muove sul ciglio che separa tradizione e rinnovamento, ricercando e interpretando canti popolari siciliani, proponendo canzoni inedite nel rispetto dei canoni compositivi tradizionali, lasciando aperta una finestra sul mondo. Hanno suonato dall’Argentina al Giappone, scambiando la propria esperienza con quella degli artisti dei Paesi nei quali erano ospiti. Hanno contaminato il loro stile con il teatro, la danza, il cinema, l’opera dei pupi. Fanno dialogare marranzano e mandolino con strumenti provenienti da ogni parte del pianeta. Local, ma con una visione global.

Sembra di essere in un sūq, fra odalische e mercanti, quando ci si incammina fra gli arabeschi della Trazzera dei briganti. «Sono partito dal quartiere a luci rosse di Catania per spostare tutte le strade malfamate del mondo verso Oriente», spiega Allegra, che è l’autore del testo. Vola leggera, solare e spensierata Cori coruzzu, serenata amorosa al ritmo del chorinho, tradizionale musica brasiliana. Più malinconica la serenata rivolta alla luna di Su li stiddi, che ai tempi del Festival della canzone siciliana era stata affidata alla voce di Patrizia Laquidara. Za Monica, basata sui canti dei pescatori delle tonnare, è un inno al ritorno alla natura e alle cose semplici giocato sugli intrecci di voce fra Castrogiovanni, Allegra e Simone Ardita della Jacaranda Orchestra: parte graffiante come un rock per finire come una tarantella in cui il tamburo di Alfio Antico fa a gara con il sax di Salvatore Assenza.

Oltre al percussionista lentinese e a diversi componenti della Jacaranda Orchestra, altro ospite è Cesare Basile, autore e voce di Peddi Nova, «una canzone che scrisse mentre registravamo un tributo a Nick Drake», ricorda Gionni Allegra. «Cesare aveva in embrione questo brano che si basa su una poesia di Ignazio Buttitta e l’ha regalata a noi. L’abbiamo eseguita diverse volte dal vivo. Per registrarla ci ha fatto piacere coinvolgerlo e affidarla alla sua voce». Peddi Nova è una stupenda ballata dall’andamento lento, tra “indie” ed echi di Lucio Dalla. Minimale nelle sonorità, nello stile di Basile e come vogliono essere i Lautari. «Fora tempu è un disco molto suonato», tiene a sottolineare Marco Corbino. «C’è una ricerca molto curata del suono, della frase. Puntiamo sulla essenzialità, senza mai strafare, esagerare. Oggi, invece, l’esagerazione è spesso una regola».

Un’altra piccola perla è U paisi di tri soldi, dove ogni strofa corrisponde a un personaggio ed a una microstoria. C’è zu Ninu e don Ciccio, c’è il parrino che ogni giorno dice messa e poi nello sgabuzzino “si futti alla barunissa” e c’è “cu c’avi i manu lordi”. «Può essere la parodia di un piccolo paese, come di una nazione. Penso che il valore di un Paese si misuri sulle storie delle persone che ci vivono», commenta Allegra. E non esce una bella immagine. Come quando in Li cristiani si prendono beffe delle tesi razziali espresse dal Salvini pre-Draghi: “Solu nuatri semu beddi semu biondi ariani / sulu nui ca stamu ccà nuatri semu li cristiani”.

Il mago di Cent’anni di solitudine, il libro più famoso di Gabriel Garcia Marquez, ispira Melquíades, canzone che i Lautari hanno eseguito nella giornata dedicata a Patrick Zaki, lo studente egiziano iscritto all’Università di Bologna e da un anno in carcere al Cairo. «È una canzone sui “caminanti”, che sono cittadini del mondo», spiega Allegra. «Ognuno deve essere libero di andare e tornare da qualsiasi luogo».

Pigri, lenti, ma non “fora tempo” i Lautari. Anzi, attualissimi. Nei testi e nelle musiche. E nel “paisi di tri soddi” che raccontano nel disco, alla fine i Lautari riescono a vedere la possibilità di un cambiamento. “Cancia stu munnu e ancora po’ canciari”, cantano in Volare, omaggio ad Angelo D’Arrigo, l’uomo con le ali «che ci ha insegnato che nulla è impossibile». Perché “cu l’ha dittu ca nun po’ vulari”. Anche andando “fora tempu”. Come i Lautari in questo album.

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Laureato in Lettere moderne. Giornalista professionista. Ha collaborato con Ciao2001, Musica Jazz, Ultimo Buscadero, Il Diario di Siracusa. È stato direttore del bimestrale Raro! e caposervizio agli spettacoli al quotidiano "La Sicilia". Nel 2018 ha curato il libro "Perché Sanremo è (anche) Sicilia”. Nel 2020 ha scritto “Alfio Antico. Il dio tamburo” pubblicato da Arcana.

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