Le strade dei musicisti della band casertana tornano a incontrarsi dopo quindici anni con l’album “Privè” e un lungo tour che sabato 1 febbraio approda al Teatro Garibaldi di Enna. Una «ripartenza dolorosa» coincisa con la scomparsa del chitarrista Fausto Mesolella. «Il disco è anche una maniera per dare un senso a un lutto»

Salpato da Parigi nel gennaio del 2019, finalmente approda in Sicilia il romantico e appassionato viaggio sonoro degli Avion Travel. Sabato 1 febbraio la band salirà sul palco del Teatro Garibaldi di Enna per presentare tutta la sua storia musicale a partire da “Privé”, l’album realizzato nel 2018 dopo quindici anni di pausa nell’attività. È bello rivederli insieme, in foto, in musica, in disco: Peppe Servillo e Mimì Ciaramella ritrovano Mario Tronco, Peppe D’Argenzio e Ferruccio Spinetti, gli Avion Travel ritornano la Piccola Grande Orchestra casertana. O forse no, perché manca Fausto Mesolella, anche se in “Privè” ci sono sue canzoni, c’è la sua chitarra elettrica (in un pezzo), c’è la sua lezione. La sua assenza poteva essere il punto di non ritorno, un buco capace di inghiottire la band che voleva tornare a incidere inediti: «Il 30 marzo del 2017 ci siamo visti la prima volta tutti insieme per ascoltare le canzoni e per pianificare una pubblicazione. Proprio nel pomeriggio di quel giorno Fausto ci ha lasciato», ricorda con tristezza Peppe. È diventata, invece, «come succede nella vita vera, non solo in quella dei gruppi, una ripartenza dolorosa». Facendo a meno della chitarra, lo strumento di Mesolella, cercando una new entry, trovata in Duilio Galioto. Usando le canzoni come balsamo sulle ferite, come condivisione di un lutto.

Nel disco gli Avion Travel cambiano ricominciare: costruiscono i nuovi suoni intorno a pianoforte e tastiere, piuttosto che alle sei corde, trovano cluster minimalisti, echi da “incantautori”, caramelle melodiche napoletane

Nel disco gli Avion Travel cambiano pelle, «come si cambia per non morire… come si cambia per ricominciare», suggerirebbe Fiorella Mannoia, a cui avevano prestato “Se veramente Dio esisti”, che qui si riprendono, insieme con l’iniziale “A me gli occhi” (Patty Pravo), con “Come si canta una domanda” e “L’amore arancione” (Musica Nuda). Cambiano per non morire, cambiano per ricominciare, costruiscono i nuovi suoni intorno a pianoforte e tastiere, piuttosto che alle sei corde, trovano cluster minimalisti, echi da “incantautori”, caramelle melodiche napoletane, citazioni dalle colonne sonore di Umiliani e Piccioni, sprazzi di jazz-rock, un soft-reggae, scene da un matrimonio bacharachiano, progressioni celentanesche. «Era dal 2003 di “Poco mossi gli altri bacini” che non lavoravamo su nuovi materiali, anche se dopo c’erano stati i dischi dedicati a Rota e Conte e le nostre esperienze singole», ricorda il cantante: «Io a teatro con mio fratello Toni, con i Solis, con Girotto e Mangalavite; Mario e Peppe con l’Orchestra di Piazza Vittorio, Ferruccio con Petra Magoni. Ci eravamo fermati, quasi sciolti, riuniti prima dal vivo e poi… Fausto… Ci abbiamo pensato a lungo, alla fine questo lavoro è anche una maniera per scolorire il dolore, per dare un senso a un lutto. Anche Mesolella avrebbe fatto così, credo».

Resta la difficoltà nel far combaciare tutti gli impegni che ciascun componente ha nell’“altra” vita musicale, quella fuori dal gruppo e che dopo quindici anni ha assunto un ruolo importante. Così può capitare, come nel caso dell’appuntamento di Enna, che qualcuno sia costretto ad assentarsi. Tocca a Mario Tronco: «È impegnato con l’Orchestra di Piazza Vittorio e non potrà venire, al suo posto, alle tastiere, ci sarà Flavio D’Ancona» annuncia il batterista Mimì Ciaramella.

«Dalle lezioni dei maestri è venuto un album concepito come una raccolta di storie personali declinate però per trovare un mood collettivo. C’è ancora spazio per le emozioni generazionali: noi le abbiamo divise tra impegno e cantautori ribelli, i ragazzi di oggi hanno altri suoni e sogni, che rispettiamo»

“Privé” riprende il discorso interrotto rilanciando spirito e atmosfere che caratterizzarono la trilogia composta da capolavori come “Bellosguardo”, “Opplà”, e “Finalmente Fiori”. Senza dimenticare la vittoria al Festival di Sanremo del 2000 con la memorabile “Sentimento”. Un disco emozionante, necessario, nuovo nei suoni eppure fedele alla linea originale della formazione casertana grazie al modo di porgere di Servillo, ai testi che sembrano preghiere laiche, ma non profane, modulate su una religiosità incerta, che nulla sa delle liturgie di Chiesa, che parla con il Dio dei pomeriggi tristi ricordando la preghiera del clown Totò. “Come si canta una domanda” è una chicca, come lo è “Caro maestro”, richiesta d’aiuto da parte di musici sperduti: «Si può sperare di cantare come hanno fatto un tempo… uomini e donne che cantavano con l’anima… Caro maestro, scusate se vi chiamo così, io vengo da un’Italia profonda, che per ora, scompare». Già ma chi è il maestro? «Una figura sottovalutata, di cui c’è tanto bisogno», riflette D’Argenzio. E il vocalist: «Noi ne abbiamo avuti tanti, Lilli Greco, Paolo Conte, lo stesso Fausto». E dalle lezioni dei maestri è venuto un album concepito come «una raccolta di storie personali declinate però per trovare un mood collettivo. Credo ci sia ancora spazio per le emozioni generazionali: noi le abbiamo divise tra impegno e cantautori ribelli, i ragazzi di oggi hanno altri suoni e sogni, che rispettiamo».

«Due figure abitano questo disco: una amara e l’altra dolce. La prima sfugge alla canzone, la seconda la insegue. Una diffida delle parole e l’altra si consegna alle parole stesse»

Nel concerto si canta e si sogna, e si sorride con Servillo, noto anche per il suo talento attorale e la sua infinita varietà di mimica facciale. C’è teatralità e c’è senso della narrazione anche in “Privè”: la title track è una piccola commedia umana, una storia scabrosa, di pruriti sadomaso, raccontata con un’ironia che serve a trovare la giusta distanza. Pacifico dà una mano con i versi di “Alfabeto”, «perché la musica non ha un senso, glielo diamo noi, glielo danno le parole», e firma da solo la conclusiva “Dolce e amaro”. «Due figure abitano questo disco: una amara e l’altra dolce. La prima sfugge alla canzone, la seconda la insegue. Una diffida delle parole e l’altra si consegna alle parole stesse» spiega Peppe Servillo.

«“Dolce e amaro” è il brano che dà il senso al disco, al nostro mood, al nostro saluto a chi se n’è andato, ma anche a chi abbiamo ritrovato: ecco, la ripartenza è anche un reciproco ritrovarsi», conclude l’altro Peppe, D’Argenzio. Gli Avion Travel torneranno in Sicilia il 13 marzo per esibirsi a Castellammare del Golfo.

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