«Io sono l’altro. Puoi trovarmi nello specchio, la tua immagine riflessa, il contrario di te stesso. Io sono l’altro. Sono l’ombra del tuo corpo, sono l’ombra del tuo mondo». Così Niccolò Fabi intona in un suo recente singolo. Versi crudi e senza filtri, che arrivano dritti all’anima. Versi che si prestano a descrivere tragedie immani ma stranamente silenziose, ingiuste e incomprensibili anche quando accadono a pochi passi da noi. Come la Shoah, il più celebre e meticolosamente pianificato genocidio di massa che la storia ricordi, figlio di una perversa congiunzione tra delirante follia e lucida perfidia, che ancora oggi fatica a vedere il suo scempio unanimemente riconosciuto. Perciò, mentre ingiustificabilmente le schiere dei negazionisti si rimpolpano con costanza – forse a causa di idee politiche deviate, forse per via della distanza temporale e della surrealtà dell’accaduto – e mentre il Giorno della Memoria si staglia alle porte, nel cogliere quest’occasione come momento per condannare ogni forma di violenza passata e presente, raccontare delle storie può essere l’unico antidoto all’oblio, allo scemare della memoria. Perché dietro ogni tragedia globale si nascondono tragedie intime, private, sconosciute. Come quelle dei siciliani deportati nei lager nazisti.

Benché lo sbarco alleato nell’isola del 1943 avrebbe teoricamente potuto rendere la Sicilia immune alla mortifera trafila di deportazioni – e a lungo si è creduto fosse stato effettivamente così – numerosi furono i nostri conterranei a ritrovarsi vittime dell’incubo dei campi di sterminio, anche perché è stata ormai accertata nel Meridione d’Italia, fin dal 1938, la presenza di strutture di concentramento adibite alla prigionia di ebrei stranieri ed antifascisti. Pare fossero quasi 900 i nostri conterranei coinvolti. Il merito di aver portato alla luce le loro vicende, dopo decenni di negligenza, va a Giovanna D’Amico, che nel 2006 ha raccolto documenti e testimonianze nel volume edito da Sellerio I siciliani deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti 1943-1945. Anche se alcuni di quei siciliani continuano a non avere un volto, tutti hanno, quantomeno, acquisito un diritto memoriale, un ricordo ineludibile. Dal catanese Tommaso D’Urso, muratore con il sogno della divisa da carabiniere, al vittoriese Salvatore Bertolone, contadino strappato dalla sua terra per essere impiegato nelle fabbriche di aerei tedesche, passando per la messinese Egle Segre, sparita nell’inferno di Auschwitz. Storie di dolore dietro l’angolo, di persone espropriate della propria anima, dell’insopprimibile bisogno di sognare. Storie di un futuro rincorso e perso con il sangue, al di là di fili spinati e tetre rotaie, di legami spezzati da coloro che fino al giorno prima, fino al momento in cui qualcuno ha tracciato i confini della diversità e della morte, erano soliti tendere la mano. Storie di delitti, che si ripetono ogni volta che la memoria non viene rinnovata.

Avrebbero potuto essere i nostri nonni, i nostri padri, i nostri fratelli. Avremmo potuto essere noi. Perciò, ogniqualvolta la tentazione di allentare le briglie dell’attenzione sull’odio che serpeggia nella nostra società tornerà a bussare presso i nostri pensieri, dovremo ripensare a quei fatali vagoni che, tra indifferenza e complicità, solcavano letalmente l’Europa. Quando ci diranno, o proveranno a convincerci, che il Giorno della Memoria ricorda qualcosa di lontano nel tempo e nello spazio dalle nostre agiate vite, dovremo fare i conti con ciò che è accaduto nelle nostre strade, nelle nostre case, nelle nostre stesse vite. La Shoah ci riguarda tutti perché il mondo intero ha perso qualcosa in quel susseguirsi di atti sacrileghi. Dall’intellettuale polacco al manovale siciliano: la memoria unisce i passati e ci concede le armi per combattere nel presente. Sta a noi conservarne il prezioso lascito.

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