È il giogo capace di assoggettare persino lo spirito più ribelle. Il paradosso supremo entro il quale gioia e dolore finiscono per confondersi in un turbine sferzante. Il giudice imparziale al cui cospetto tutti sono chiamati a presenziare e rendere conto. L’amore è così: raramente scende a compromessi. E ancor più raramente si lascia vincere dalla dissimulazione, dalla finzione, dai dinieghi più ostinati. Signoreggia imperscrutabile nei cuori inermi che lo ricevono, quasi misterioso nel suo sussurrante incunearsi, facendosi beffe della logica, della ragione, dell’autocontrollo. L’amore è universale non tanto perché esperito da tutti, ma piuttosto per la sua capacità di renderci vulnerabili al di là della nostra volontà. Di sconquassare la consuetudine al punto da farci smarrire lungo i sentieri della passione. E a poco vale incaponirsi nell’illusione di potergli resistere. Di poter sorvolare con leggerezza i suoi pesanti fardelli. Anche se sei uno scrittore abituato ad ingabbiarne la scia tra seducenti parole. Anche se per tutta la vita hai creduto, grazie all’incantesimo della poesia, di poterlo sublimare nell’eterno cristallo dell’ispirazione. Anche se ti chiami Federico De Roberto e sei passato alla storia non certo per aver descritto mirabolanti peripezie amorose. Nemmeno lo scrittore catanese, infatti, riuscì a sfuggire alla morsa di Afrodite: non tanto o non solo per le appassionate vicende che lo videro coinvolto tra un’opera e l’altra, ma anche e soprattutto perché, all’interno di una produzione prettamente votata alla meticolosa analisi dei fenomeni sociali e politici, sentì l’esigenza di dedicare un intero e voluminoso trattato all’argomento. Nel tentativo di avventurarsi in una disamina coraggiosa ed oggettiva. O forse, più probabilmente, di scavare a fondo nella propria intimità.
Questo sforzo titanico, condotto nel 1895, prese il titolo L’amore. Fisiologia Psicologia Morale. Quasi a volere invocare speranzosamente l’apporto del sapere positivista, un’impostazione scientifica e sociologica, un barlume di lucidità attraverso cui farsi largo nell’oscuro groviglio dei sentimenti. Salvo poi dover constatare, sin dalle prime battute, che non può esistere argine alla forza irrazionale del sentimento amoroso. Essenzialmente, perché, quasi come uno stigma, gli uomini portano con sé una sorta di «contraddizione originale». Posseduti da un istinto continuamente scisso tra altruismo e ed egoismo, tra l’inclinazione a donarsi interamente all’altro e l’inseguimento forsennato della propria felicità personale. In questa alternanza tra soggezione e protagonismo, in questa incomunicabilità di fondo a cui gli amanti sembrano condannati dalle decisioni di una divinità capricciosa, c’è tutta l’irriducibilità destabilizzante del sentimento principe della nostra esistenza. E forse sta proprio qui, nel disorientamento che lo scrittore si trova ad affrontare senza l’ausilio della ragione, nella purezza con la quale si dimostra disarmato dinanzi agli strali della passione amorosa, nell’inquietudine con cui le presunte certezze si sbriciolano schiacciate dall’impeto inarrestabile degli amanti, il fascino di questa ricerca, di questa battaglia interiore che conferisce alle cose un senso ed un volto del tutto nuovi. «Il determinismo è una bella teoria; ma tali e tante e così lunghe ed intricate serie di cause determinano gli atti umani, che non è soltanto impossibile prevederli quando non si sa quali cause sono intervenute e interverranno; ma riesce anche impossibile spiegarli se una sola, la più futile in apparenza, è sfuggita all’indagine. Verità e menzogna, come vantaggio e svantaggio, come progresso e regresso, come bene e male, sono termini indissolubili. E la più grande e ultima verità sarebbe questa: che tutto è relativo; ma poiché il relativo non avrebbe senso se non s’opponesse all’assoluto, anche ciò è vero – fino ad un certo punto».
E allora, sembra volere dire in fondo De Roberto, lasciamo che anche il tormento sia relativo. Che l’inevitabile sofferenza generata dall’amore non sia una preclusione definitiva ma uno stimolo a cercarlo con forza ancora maggiore. Che gli ormeggi della razionalità lascino spazio all’esplorazione disinteressata dei segreti del cuore. Che l’assurdo non ci appaia più scandaloso, ma parte integrante del nostro essere. Perché l’amore stesso è assurdo. Nel suo nutrire la nostra vita anche quando la abbatte. Nel suo essere trionfo o sconforto. Nel suo essere prendere o lasciare.