Il vanto di essere diversi: i siciliani, impossibili
da abbattere e da imitare
Più ci troviamo oppressi dalle circostanze e più troviamo la forza di ribellarci e di scegliere il destino che pensiamo di meritare. Più facciamo esperienza della sconfitta e più ci sentiamo vincitori nel non esserci piegati al volere degli altri. Con Brancati, cantore per eccellenza della sicilianità, un viaggio nella nostra anima di paradossi viventi
[dropcap]«[/dropcap][dropcap]P[/dropcap]er essere siciliani bisogna essere diversi». Secco, netto, deciso. È il giudizio di Vitaliano Brancati, uno che dell’essenza siciliana se ne intendeva abbastanza, uno che dell’intreccio tra le nostre virtù e i nostri vizi è stato un appassionato e malinconico cantore. Ma cos’è, esattamente, questa diversità che colpiva lo scrittore di Pachino? Cos’è, se esiste, quel qualcosa che ci rende unici e inimitabili nel nostro approccio col mondo? Senza dubbio è un’inclinazione, una filosofia di azione e di pensiero che abbiamo ereditato da una storia infinitamente lunga e fitta di eventi decisivi. Ma, se fossimo solo evidenze, risultati passivi di un filo rosso già svoltosi, tutto ciò non basterebbe. E allora ecco che, se potessimo individuare il primo cardine su cui si poggia la nostra esclusività, diremmo che esso viene rappresentato dal nostro sentirci peculiari quotidianamente. Non esiste giorno, minuto o secondo lasciato alle spalle che il siciliano non sia consapevole del suo percorso divergente, della sua emarginazione e del suo isolamento.
Ma, lo abbiamo detto, noi siamo diversi e in questo naturale e costitutivo senso di abbandonata solitudine sappiamo districarci a meraviglia, fino a trasformarlo in una condizione privilegiata. Paradossi viventi, trionfi di armoniche contraddizioni, l’esclusione funge da punto di osservazione inusuale, ma proprio per questo vincente. È così che possiamo definirci custodi del tempo: con l’abitudine a coltivare la solitudine, abbiamo imparato a dare il giusto valore alle cose, a percepirne la finitezza, ad affinare quel sesto senso che ce la fa cogliere sempre nel loro declinare, nel loro scomparire inesorabile. Il siciliano, del resto, è il precario per eccellenza, diviso tra istinti vitali e sorte avversa che cerca di frenarli. Senza successo: con un capovolgimento ai limiti del magico, più ci troviamo oppressi dalle circostanze, più aumenta la fila di chi ci dà per spacciati e più noi troviamo, con uno scatto, la forza di ribellarci, di sceglierci il destino che pensiamo di meritare. Insomma, più facciamo esperienza della sconfitta e più ci sentiamo vincitori nel non esserci piegati ai capricci o alle decisioni degli altri, più sguazziamo nelle sabbie mobili dei problemi e più ci incaponiamo per trovare la via d’uscita. Vista così, la vita dei siciliani può sembrare simile ad una lotta continua e non c’è dubbio che questa impressione non sia lontana dal vero. Ma non potrebbe essere altrimenti: la fiamma che alimenta le nostre speranze collettive ed individuali è il frutto di questa dinamica.
Fino a quando questo spirito scisso continuerà a restare presente, il popolo siciliano non avrà mai da temere una perdita della sua identità, sia che questa venga snobbata sia che venga insudiciata dall’odio gratuito che trapela dai titoli di giornali o dai casi di cronaca. Fino a quando l’essere diversi sarà percepito come un valore e non come un difetto da correggere, saremo sicuri di condurre una vita autentica, degna di ciò che significa essere siciliani. Che non è solo orgoglio fine a se stesso o superbia sbandierata, ma consapevolezza di una ricchezza da difendere a tutti i costi, da trasmettere a chi non la conosce ma vorrebbe tanti accostarvisi. Essere siciliani, in fondo, è anche questo: aiutare gli altri ad immergersi nei flussi del nostro mondo, a riconoscere la bellezza che sta dietro la nostra scansione del tempo. A, per omaggiare l’anniversario della nascita di un grande poeta, anche se non siciliano, vivere «in direzione ostinata e contraria».