Il viaggio onirico degli Urban Fabula tra jazz e pop
Uno martella il piano e viene da Siracusa. Il secondo è di Scicli e pizzica con veemenza il contrabbasso. Il terzo è nato a Gela e picchia forte sulla batteria. Sono, rispettivamente, Seby Burgio, Alberto Fidone e Peppe Tringali, tre musicisti fra i più richiesti del momento. E quando gli impegni di lavoro di ciascuno lo consentono, fanno il possibile per incontrarsi e mantenere viva un’amicizia nata e fortificatasi sui palchi di tutta Italia, concretizzatasi nel 2010 nel trio Urban Fabula.
«Un gruppo di lavoro e un trio di amici fraterni cresciuti insieme, legati dalla passione per la musica e dal desiderio di esprimere sé stessi con progetti propri ed autentici», si presentano a tre voci. «Il fatto di vivere in tre luoghi diversi, se da un lato rappresenta un limite evidente, dall’altro ci costringe ad essere molto più concentrati, sfruttando al massimo il tempo a nostra disposizione. Tutti gli altri progetti musicali che ci riguardano singolarmente, e che cerchiamo di portare avanti con grande professionalità, contribuiscono alla nostra continua formazione portando inevitabilmente linfa vitale ed ispirazione anche per Urban Fabula».
La provenienza da percorsi formativi classici e da numerose esperienze nell’ambito della musica pop e moderna, oltre che del jazz, è una delle caratteristiche che contraddistingue il trio, rendendolo una delle ritmiche italiane più apprezzate e richieste. Un sound poliedrico, espressione delle diverse e molteplici esperienze musicali, che i tre sembrano voler sintetizzare nel nuovo album Movin’. «Rappresenta lo specchio di quello che siamo oggi come artisti e come persone, un filtro che in maniera privilegiata ci consente di manifestare, attraverso la nostra estetica e gusto musicale, tutta la nostra gratitudine», spiegano, tenendo a sottolineare che «non abbiamo voluto barattare l’autenticità di quello che desideravamo esprimere con la fretta di doverlo fare per forza».
Movin’ è un album che dà il senso di una trasformazione continua, di un movimento perenne. È una divertente e coinvolgente festa di suoni, ritmi, sensazioni, emozioni. Un disco orientato in direzione “contemporary jazz”, termine alquanto ampio che comprende molti generi. Il movimento indicato dal titolo del disco può essere riferito anche alla musica in continuo agitarsi fra diversi generi musicali: fusion, pop, cool jazz, mainstream, ritmi africani e sudamericani, progressive anni ‘70, e anche un pizzico di Lucio Battisti (la cui Vorrei non vorrei fa capolino fra i fraseggi del brano Opportunity the Rover).
«Che cosa è il jazz oggi? Questo ci siamo chiesti e ci chiediamo ancora quando andiamo a suonare o scriviamo i brani per un disco nuovo. La risposta è chiaramente… non lo so!», commentano. «Ed è proprio questo che ci porta a dire che il jazz oggi possa essere tutto quello che tu vuoi che sia, emotivamente e stilisticamente. Non abbiamo voluto prevedere un esercizio di stile per ciascun brano che confezionasse un prodotto “compiacente”, adatto a tutti gusti, ma abbiamo lasciato che la musica fluisse senza condizionamenti manieristici. Opportunity the Rover è una ballad in 5/4 molto delicata e poetica. Ci fa piacere che vengano ravvisati anche elementi musicali della bella tradizione musicale pop che tra l’altro adoriamo e abbiamo suonato per anni in diverse formazioni. Oltre all’aspetto musicale, quello che accomuna questi due brani che tu metti giustamente vicini, è certamente il riferimento alle immagini oniriche in un’atmosfera ispirata e rarefatta dove la solitudine viene contrapposta a paesaggi ampi e surreali».
L’album ha anche uno storytelling. Chi sono i personaggi a cui fate riferimento? Chi è Yoro? Chi è Manu? Chi sono gli eroi di Value of Duty?
«Lo storytelling ci ha sempre aiutato a sognare. La costruzione compositiva, a quel punto, diventa una conseguenza, una traduzione di stati d’animo e di immagini che poi si susseguono in musica. Alcuni dei brani del disco sono fortemente condizionati da tutto questo processo creativo e ognuno di essi avrebbe bisogno di una trattazione a parte. Yoro Ndao è un ragazzo senegalese che viene da Tambacunda un piccolo villaggio vicino Dakar. Questo brano prende il suo nome – Yoro– e svela un messaggio importante: il rispetto per gli uomini, per i loro sorrisi accoglienti; l’aiuto di cui tutti abbiamo bisogno; le cose vere e non le loro proiezioni; la semplicità; un mondo che abbiamo il dovere di curare. Oggi Yoro è un importante mediatore culturale con regolare permesso di soggiorno. Manù è un bambino immaginario che gioca con altri bimbi, tutti “diversi” come i colori di un arcobaleno che senza pregiudizi parlano solo il linguaggio del gioco. Gli eroi scomodi di Value of Duty, citazione presa dal libro del giudice Giovanni Falcone Cose di cosa nostra, sono tutti quelli che in maniera indefessa e senza scendere a compromessi hanno dedicato la loro vita ad un ideale, consentendo a tutte le altre persone di vivere meglio grazie al proprio sacrificio».
Questo viaggio, composto di sette composizioni originali e coprodotto con Riccardo Samperi, curiosamente si chiude con una cover che ribadisce la posizione di equilibrio degli Urban Fabula tra jazz e pop, ovvero la rilettura di Englishman in New York di Sting.
«Perché non poter esprimere la propria gratitudine e dunque rendere omaggio ad un artista ancora vivente? Ci piaceva l’idea di chiudere il disco con una cover pop e non uno standard jazz. Devo dire che la scelta non è stata apprezzata da tutti gli addetti ai lavori, ma come già detto sopra, spesso prevale in noi l’istinto, più che l’algoritmo del politically correct. Englishman in New York è un brano che ci piaceva oltre che per la iconica versione del 1988 anche e soprattutto per i concetti espressi da Sting, uno dei più grandi artisti pop del mondo: “Ci vuole un uomo per sopportare l’ignoranza e sorridere, sii te stesso”… “Sono uno straniero, un perfetto straniero” … “Gentilezza, sobrietà sono rare in questa società, la notte una candela fa più luce del sole” … “Un gentiluomo cammina ma non corre mai”. Queste parole ci rappresentano, e con la stessa forza e apparente semplicità abbiamo voluto suonare questo brano con un arrangiamento essenziale. Un lungo solo finale di pianoforte in un continuo crescendo in interplay vuole esprimere il concetto di libertà e del diritto ai propri sogni».
Un viaggio onirico, evocativo, che conduce alla (ri)scoperta delle proprie origini. E la Sicilia oggi, grazie anche agli Urban Fabulka, sembra l’avanguardia di una rinascita del jazz.
«Il jazz è in continua rinascita ed evoluzione secondo noi, un genere di musica capace di rigenerarsi in forme sempre nuove ed attuali. Diversi anni fa, durante un concorso per il Jazz Club Bergamo a Treviglio, il compianto direttore artistico Vittorio Scotti, al quale va il nostro più affettuoso ricordo, parlò della nostra musica definendola “un jazz siciliano”. Allora non capimmo, ma oggi siamo coscienti del fatto che, per qualche strana alchimia e fatto salvo il percorso di studi classico e jazzististico quanto più coerente possibile, vengono fuori nel nostro mood delle caratteristiche che fanno parte del nostro vissuto, della nostra terra. La Sicilia, nel suo essere isola, risente in senso artistico del proprio carattere endemico anche se atipico perché molto ricettivo -sicuramente per genetica- nei confronti delle contaminazioni. Ormai da diversi anni la nostra terra sforna grandi talenti e progetti musicali di grande qualità, non solo in ambito jazzistico. Che la Sicilia possa avere un ruolo o no da protagonista riteniamo, in tutta franchezza, che la qualità dei progetti artistici non sia l’unico elemento a poterlo determinare. Certamente, una maggiore attenzione e monitoraggio da parte degli organi competenti, o di grandi associazioni del settore non guasterebbe, favorendo il confronto e lo scambio: elementi essenziali per un ambiente musicale florido e prolifico».