Il violino vagabondo di Francesco Moneti e la chitarra venuta dal mare
Da trentacinque anni Francesco “Fry” Moneti suona il violino andando in giro per il mondo. Dalla sua Arezzo a Modena, dalla Bolivia a Cuba, dal Sudafrica alla Palestina, dal Messico al Guatemala, oltre ovviamente a tutta Italia ed Europa. Nel 2001 ha anche partecipato al film Gangs of New York di Martin Scorsese, con Leonardo Di Caprio, Daniel Day Lewis e Cameron Diaz, interpretando la parte di un violinista (guarda caso) e suonando un brano della colonna sonora. Si destreggia abilmente fra due gruppi, i Modena City Ramblers e Casa del Vento. Ha prestato il suo strumento ai generi più svariati, dal folk alla dance, collaborando con decine di colleghi: Cristina Donà, Tosca, The Rumjacks, Patti Smith (con la Casa del Vento), Omar Pedrini, Sonohra, Bandabardò e perfino Gazebo, il re della disco music anni Ottanta. Neanche la pandemia è riuscita a fermare questo vagabondo cosmico. Tutt’altro. «Il lockdown, che ha bloccato tutti i tour, ha fatto sì che trovassi il tempo per scrivere un disco tutto con le mie idee». Quando si dice la sfortuna… E così, superata da poco la soglia dei 50 anni, il riccioluto violinista dei Modena City Ramblers ha raccolto in Cosmic rambler un album di ricordi fatto di immagini e sonorità che raccontano la sua storia di musicista e di uomo, e soprattutto di babbo, come dicono i toscani.
Cosmic rambler è un giro del mondo sonoro in undici brani, nel quale Moneti viaggia su una mongolfiera ancorata agli anni Settanta e Ottanta
«Il disco è quasi un esorcismo», spiega l’aretino. «Nel momento in cui siamo costretti a rimanere fermi e non possiamo fare neanche una camminata, io ho viaggiato con i ricordi, riannodando i fili dei miei viaggi e di tutte quelle contaminazioni con le quali sono entrato in contatto durante le visite in tantissimi Paesi. Quando vado in un Paese, sono curioso e vado subito a conoscere le musiche, gli artisti, i sapori, i luoghi del posto. In questi anni ho raccolto un bagaglio di ricordi che ho immesso nella mia musica». Cosmic rambler è un giro del mondo sonoro in undici brani, nel quale Moneti viaggia su una mongolfiera ancorata agli anni Settanta e Ottanta, ai punti di riferimento che hanno influenzato il violinista toscano, dal folk irlandese a Jean-Luc Ponty, da Pat Metheny a Johnny Clegg, dagli Area al blues del deserto dei Tinariwen e di Bombino, dal country agli arabeschi arabo-palestinesi, dalle launeddas al Balkan Beat. Ma come suggerisce il disegno in copertina, il vagabondo cosmico Moneti, astronauta musicista in panne su Saturno, alla fine «vuol tornare sulla terra perché resto legato alle mie origini toscane». E in particolare alla famiglia.
Non a caso, uno dei brani più significativi è Lorenzo, The Magnificent. Lorenzo il Magnifico, che non è il più illustre rappresentante della dinastia dei Medici, ma un gorillino che a gennaio compie due anni e già si mostra goloso di musica», sorride Moneti. «Devo nuovamente ringraziare il lockdown se ho potuto seguire tutto il percorso di crescita di mio figlio. Prima ero contrario a scrivere canzoni di carattere familiare. Anzi, prima di diventare babbo, stigmatizzavo chiunque cantasse pezzi sui propri figli. Adesso che ho un figlio ci sono caduto anche io». Il brano riunisce tre generazioni. Si ascolta un campione vocale del piccolo Lorenzo e «c’è mio padre che ha 71 anni e che proviene dal beat. Alla sua età ancora continua a suonare con un gruppo di arzilli settantenni nella zona dell’Aretino e nel disco suona anche il banjo. Tra l’altro non esiste in un disco in cui c’è il suo nome e questa è la prima volta in cui appunto su un disco compare il nome di Giovanni Moneti», dice con un non celato orgoglio Francesco Moneti, che proprio dal padre fu avviato in tenera età allo studio del violino e della chitarra.
«Alfio Antico è strepitoso! Ha accettato subito di registrare con me, però non voleva fare qualcosa di asettico, prima ha voluto che andassimo a casa sua: “mangiamo, beviamo e poi suoniamo”»
Il “gorillino” Lorenzo è il dolce tsunami che ha modificato la vita del violinista. Al figlio è dedicata anche la canzone “My sweet tsunami”, nel quale a portare scompiglio è anche il tamburo di Alfio Antico. «Alfio è strepitoso!», esclama Moneti. «Lui si è subito dimostrato disponibile a registrare con me. Però non voleva fare qualcosa di asettico, ha voluto che andassimo a casa sua. “Prima venite a casa mia, mangiamo, beviamo e poi suoniamo”, aveva risposto all’invito. Era un bel po’ di tempo che non ci ubriacavamo in quel modo», ride. «Alfio è un vero portento, non è uno che ostenta, però ha fatto ha fatto cose meravigliose. Nel brano c’è anche il figlio Mattia, che è un musicista lucido, pragmatico, diverso dal padre».
Nel disco trovano spazio la voce del napoletano Francesco Di Bella, ex 24 Grana, Patrizio Fariselli degli Area e Daniele Contardo, il “suonicista randagio” come ama definirsi
Alfio Antico non è l’unico “sudista” presente nel disco. Nel brano di apertura, “This is the world we live in, l’unico non strumentale, Francesco Moneti ha voluto inserire la voce del napoletano Francesco Di Bella, ex 24 Grana, fra danze irlandesi, arpeggi congolesi, fughe di violino e mandolino. «Io non sono cantante e prima per registrare questo brano avevo pensato alla cantante africana Fatwata Dwara la quale però già era impegnata. Avevo pensato di inciderlo io. Talvolta partecipo ai cori dei Modena City Ramblers e la registrazione non mi dispiaceva. Però volevo un’altra voce, una voce che mi ricordasse quel misto di inglese e napoletano che era tipico di Pino Daniele. Ho pensato subito a Francesco Di Bella, con la sua band dei 24 Grana ci siamo incrociati più volte nei Festival e mi piace la sua poetica. Lui ha anche partecipato alla stesura del del testo».
Alfio Antico e Francesco Di Bella non sono gli unici ospiti d’eccezione del disco, che si avvale anche della partecipazione del pianista Patrizio Fariselli, protagonista della dolce ballad African Scars. «Patrizio è un musicista straordinario e gli Area, con i quali ha suonato, sono stati un fenomeno irripetibile, una supernova della musica italiana. Avevo registrato due assoli: uno con il violino ed uno col bouzuki. Come mi son arrivate le parti e il solo di Patrizio per un attimo ho pensato di cancellare tutto e lasciare solo il suo!». È invece affidato a Daniele Contardo, il “suonicista randagio” come ama definirsi, il compito di traghettare l’ascoltatore alla fine del disco con La Valde du Sang. «Mi ero ripromesso di non avere featuring del mondo che ho più frequentato negli ultimi anni, ovvero il folk italiano e il combat folk, anche perché noto che i dischi poi finiscono per suonare tutti uguali, mentre Cosmic rambler non doveva suonare uguale a nulla», spiega Moneti. «Tuttavia, Daniele Contardo aveva già registrato un delizioso organetto in questo brano che è risuona come un valzer francese, ma in duetto con un inquietante violino distorto che serpeggia tra le dolci linee della canzone».
Cosmic Rambler adesso si aggiunge agli impegni che l’artista aretino mantiene con Modena City Ramblers e Casa del Vento. Con i secondi porta avanti anche il progetto “Mare di mezzo”, una catena di solidarietà che ruota attorno ad una chitarra costruita da un liutaio di Cortona con i rottami di un “carretta del mare” naufragata al largo di Lampedusa. «Da questo pezzo, assemblato senza alcuna rifinitura, ha costruito una chitarra. E quel rottale è un simbolo, è l’urlo quieto di disperazione», racconta Moneti. «Questa chitarra me l’ha affidata io l’ho portata in tour insieme con i Modena City Ramblers anche a Lampedusa e poi con la Casa del Vento abbiamo inciso un pezzo che appunto porta il titolo di Mare di mezzo, che è anche un video nel quale diversi artisti si sono prestati a posare con questa chitarra: Patti Smith, Eugenio Finardi, Pif, Simone Cristicchi e tanti altri. È un progetto che va ancora avanti. Se altri volessero usare questa chitarra per un progetto di solidarietà noi la passeremo come un testimone: è un simbolo importante anche in questo momento, un simbolo dello stare insieme, del vedere l’altro come amico e non come nemico in un momento in cui rapporti umani vanno peggiorando».